Abbiamo incontrato per l'ultima volta il Generale Jovan Divjak a Sarajevo il 25 giugno del 2019 durante il nostro annuale viaggio in Bosnia Erzegovina nella sede dell'associazione OGBiH.
Le iniziative dell'associazione "Buongiorno Bosnia, dobardan Venecija"
venerdì 26 novembre 2021
Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #8
venerdì 19 novembre 2021
Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #7
Capitolo 27 - La pace sui banchi di
scuola
D. Lei oggi dedica tutto il tuo tempo ai giovani e ha fondato l'associazione L'educa zione costruisce la Bosnia Erzegovina che si occupa degli orfani di guerra. Che tipo di attività svolge? Ha rapporti con analoghe istituzioni nella Rs?
R. Da adolescente ero stato testimone della difficile situazione degli orfani dopo la seconda guerra mondiale, e sapevo che la guerra in Bosnia sarebbe stata disastrosa per le nostre giovani generazioni. In tutto il Paese sono stati uccisi 25.000 ragazzi: 30.000 hanno perduto uno dei genitori e più di 2.000 sono diventati orfani. E per questi che ho fondato l'associazione, per fornire quel sostegno morale e materiale che permetterà loro di proseguire gli studi. In 12 anni abbiamo dato più di 24.000 borse di studio in Bosnia per un valore totale di 850.000 euro, finanziate con do nazioni o grazie a manifestazioni che organizziamo per raccogliere fondi. A questo scopo, José Van Damme si è esibito a Sarajevo, insieme all'orchestra filarmonica della città diretta dal maestro Ari Van Lysebeth. Un altro obiettivo dell'associazione è poter far partire in vacanza i nostri ragazzi, dai 14 ai 25 anni. Una delle mete più ambite è il mare croato.
Collaboriamo
relativamente bene con le associazioni della RS, sebbene di tanto in tanto con
alcune difficoltà. Qualche anno fa dieci piccoli serbi dovevano venire insieme
a noi in Croazia. Visti e formalità burocratiche, tutto era pronto grazie agli
organizzatori di entrambe le entità quando, cinque giorni prima della partenza,
alcuni genitori non vollero che i loro figli partissero con i figli dei mujaheddin».
Non mi scoraggio, ma quest'esempio spiega bene come sia difficile cambiare le
mentalità dei genitori. Sono loro a creare problemi, mai i ragazzi. - In
Republika Srpska, un'associazione con sede a Foča prepara i giovani per farli
partecipare alla politica locale. Inoltre, sempre in Rs, esiste un Segretariato
per la gioventù. L'idea è ottima, dato che sia su scala locale sia su quella
nazionale solo il 5% dei giovani è parte attiva delle strutture amministrative.
Io credo che spetti a loro decidere su problemi che li riguardano, come lo
sport, l'educazione, il lavoro, e non certo a me... Spero che un'istituzione di
questo tipo veda la luce anche nella Federazione, ma le autorità mi hanno detto
che servirebbe far votare una legge. A me sembra che una legge non serva per
creare una struttura che, invece, potrebbe farsi carico di proporne una. È la
vecchia storia dell'uovo e della gallina! Allora, senza arrendersi, mi sembra
il caso di andare all'attacco delle varie amministrazioni, con il sostegno di
numerose ONG, per tentare di formare una struttura gestita dai giovani e per i
giovani. Inoltre L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina organizza scambi
con scuole francesi: i nostri ragazzi vivono con i loro coetanei francesi per
15 giorni, e così arricchiscono il loro bagaglio culturale in direzione europea
e democratica. Tengo anche a che i giovani europei, ed è successo con scuole
francesi e tedesche, vengano a trascorrere dei periodi qui da noi: ispirandoci
alla pace ormai solida tra studenti delle due rive del Reno, anche noi possiamo
sperare in nuove generazioni non più ostaggio dell'odio.
D. I bosniaci hanno oggi una bandiera, un inno nazionale e un passaporto unici. Ma le scuole e le università forniscono uno stesso insegnamento?
R. Siamo ancora lontani da questo, anche perché la decentralizzazione del nostro sistema nasconde forti divergenze. Le due Entità hanno due costituzioni e due leggi diverse sull'educazione pubblica, e in più c'è la città di Brčko, che gode di uno statuto speciale e ha norme proprie. Già questo produce tre programmi di insegnamento, o meglio quattro, perché nella Federazione la situazione degli studenti croati e bosgnacchi non è la stessa. A ciò s'aggiunga il fatto che le due entità sono divise in dieci cantoni, ognuno con proprie leggi sull'educazione. Ecco che abbiamo dieci programmi di insegnamento, più i quattro di cui sopra! Detto questo, gli orientamenti generali possono ridursi a tre, uno per comunità. Nella Republika Srpska i programmi sono simili a quelli di Belgrado, soprattutto in storia e in letteratura. Quando uno studente apre il libro di geografia, scopre che questa repubblica appartiene allo spazio geografico naturale della Jugoslavia, ora ribattezzato "Serbia". In Erzegovina occidentale, dove i croati sono in maggioranza, gli studenti imparano che la capitale della "Herceg-Bosna" è... Zagabria. Ebbene, questa regione secessionista creata durante la guerra dagli estremisti croati, che avrebbero voluto unirla alla Croazia, non ha alcuna base legale e sarebbe dovuta scomparire con gli accordi di pace. Là dove i croati o i serbi sono in maggioranza, i manuali scolastici sono ispirati a quelli in uso rispettivamente a Zagabria e a Bel grado. Invece dove a essere in maggioranza sono i bosgnacchi, i programmi sono più aperti, e anche se accordano ampio spazio alla storia e alla letteratura dell'islam bosniaco, introducono molti elementi che trattano delle comunità serba e croata. Nella Federazione, però, si contano almeno 17 città dove c'è una specie di doppio sistema, fino ai casi estremi di quelle 54 scuole - a Travnik, Mostar, Vares, etc. - in cui gli studenti croati sono separati dai bosgnacchi.
D. Però Consiglio d'Europa, Unesco, Parlamento europeo e diverse ONG sono da anni impegnate a trovare una soluzione al problema “dell’apartheid” nell'educazione. L'Alto rappresentante ha messo in piedi un coordinamento, di cui lei fa parte, per spingere le due Entità a collaborare. Dove siamo con questi tentativi?
R. A portare solo un po' più in là il masso di Sisifo... Vorrei raccontarle come si 2svolto un seminario organizzato dalla fondazione tedesca Heinrich Boll sul tema L’insegnamento per tutti. Eravamo nel 2002, a Sarajevo. C'erano i rappresentanti dei ministeri dell'Educazione di tutte le province, e studenti e genitori di entrambe le entità. Formammo otto gruppi di lavoro, mescolando i vari rappresentanti, per poi cominciare a discutere su «che cosa deve esserci in un buon programma scolastico? E qui tutti d'accordo sulla qualità da garantire, sul fatto che dovrebbe to esserci gli stessi programmi e le stesse opzioni, etc.. Un'ora dopo siamo passati alle proposte concrete, e tutti proposero che si creassero commissioni etnicamente miste. Questo per tre giorni di fila. L'ultimo giorno, in seduta plenaria e ancora mossi dallo spirito unitario, innalzavamo l'ennesimo coro su manuali e programmi comuni quando, all'improvviso, un rappresentante della RR chiese la parola. Non sono d'accordo! -disse - Tutto ciò non è conforme agli accordi di Dayton. Il nostro castello di carte crollò in un istante. Perché gli accordi di Dayton stabiliscono che sono le province a essere competenti per l'insegnamento: ed è proprio questo il nodo! La situazione è particolarmente grave per quanto riguarda la storia. Nei due ultimi decenni e soprattutto la guerra del 1992-1995 venivano affrontati in modo così fazioso che è stato deciso, nel 2003, di limitare i programmi di storia al 1974. È consentito parlare della seconda guerra mondiale, ma anche su questa i punti di vista divergono. Insomma, la sola epoca su cui tutti sono quasi d'accordo è il Medioevo!
D. Non vede una contraddizione tra
gli accordi di Dayton che portano acqua al mu lino di chi vuole mantenere le
divisioni, e il discorso dei Paesi occidentali che esorta a "unificare"
il Paese?
R. Non necessariamente, poiché in questi accordi è chiaramente scritto che i tre popoli possono decidere di cambiare certi aspetti della Costituzione, qualora lo vogliano. E cioè essi potrebbero affidare la questione dell'insegnamento al go verno nazionale piuttosto che alle Entità e alle province. L'accordo del 1995 è abbastanza flessibile, e rappresenta solo una prima tappa verso la Bosnia futura. Niente è scolpito nella roccia, e la comunità internazionale invita i nostri politici ad andare avanti.
Nel giugno
2003 è stata approvata una legge-quadro sull'insegnamento nelle scuole primarie
e secondarie, che prevede l'adozione di programmi unici, facilita la mobilità
degli studenti e il riconoscimento dei diplomi. Ci vorrà del tempo per applicarla
sull'intero territorio, innanzitutto perché tutte le province dovranno votare
delle leggi attuative, e poi perché le tre comunità temono d'essere relegate al
rango di minoranza. Però le pressioni internazionali cominciano a dare i loro
frutti. Quattro anni fa avevo visitato una scuola elementare a Bugojno dove non
solo gli studenti croati e bosgnacchi seguivano un insegnamento separato, ma
nemmeno si incontravano mai, né a ricreazione né in mensa. La situazione sta
gradualmente migliorando, anche grazie alla legge di cui ho parlato. In questa
città, teatro d'aspri combattimenti tra croati e bosgnacchi, il Consiglio
multietnico dei genitori degli studenti è molto attivo e le famiglie lavorano
insieme per il progetto di ricostruzione della biblioteca municipale.
Permangono però tensioni, alimentate dai nazionalisti delle due parti. Per
l'inizio delle lezioni del 2004, tutte le famiglie degli studenti croati del
villaggio di Novi Seher rifiutarono di mandare a scuola i propri figli per due
mesi. Presso i croati, la paura di perdere lingua e identità è ancora assai
forte.
Vorrei
tornare sull'insegnamento della storia, che riveste un'enorme importanza nella
formazione delle generazioni future. Occorrerà far sedere a uno stesso tavolo,
un giorno, gli storici di tutta la ex Jugoslavia. In Bosnia sono state scritte
migliaia di pagine sull'ultima guerra, per denunciare l'aggressione di cui è
stato vittima il Paese. Gli storici croati parlano, invece, della loro
"grande guerra patriottica, senza mai menzionare le responsabilità della
Croazia in tutto questo caos. I serbi parlano di una guerra civile». Non
saranno specialisti venuti da fuori ad aiutarci spetta invece ai nostri storici
il compito di confrontarsi per provare a stabilire la verità. È questo spirito
che dovrebbe prevalere commissione Verità e Riconciliazione che è stata formata
in Bosnia con lo scopo di promuovere la pace facendo chiarezza sui crimini
commessi. Però una tale commissione dovrebbe esistere in tutta la ex
Jugoslavia: in mancanza di questo, non potremo mai giungere a una vera
riconciliazione. Slovenia, Croazia, Bosnia e Kosovo: tutte queste guerre sono
legate da un unico filo. La sete di giustizia e la ricerca di una durevole pace
dovrebbero essere un obiettivo comune. Ma a tutt'oggi ognuno non vede che il
suo popolo e vive ripiegato su se stesso.
D. I giovani con i quali quotidianamente lavora, come immaginano il proprio avveni re? Sperano che il Paese possa entrare nell'Unione europea?
Al tempo
stesso, però, i giovani bosniaci delle due Entità partecipano a concorsi
internazionali, a competizioni come le olimpiadi della matematica e della
fisica, a concorsi musicali. E spesso risultano tra i primi. Nelle generazioni
di questo dopoguerra vi sono giovani di grande talento e, se riuscissimo a
migliorare la qualità dell'insegnamento, otterremmo risultati ancora più interessanti.
Pensandoci bene, l'Irlanda solo trent'anni fa ha lanciato un grande progetto
per la formazione e i suoi giovani, oggi, hanno un elevato livello di
istruzione.
Inoltre, il
nostro Paese è alle prese col problema della fuga dei cervelli. Il programma delle
Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) ha condotto una ricerca su questo tema nel
2000 e nel 2003, a cui ho collaborato. Sui mille giovani delle due Entità che
hanno risposto ai questionari, il 62% ha dichiarato di voler partire all'estero
perché la Bosnia non offre prospettive per il futuro. Solo il 15% dei giovani
che vive all'estero, invece, ha detto di essere disposto a tornare
definitivamente in Bosnia, a condizione di avere un lavoro e un alloggio.
Questi dati mi vengono confermati ogni volta che, in Svezia o negli Stati
Uniti, incontro giovani del nostro Paese. La maggior parte di loro è interessata
a visitare la Bosnia da turisti, ma non certo a tornarci per sempre. Non
riescono a immaginarsi un futuro, nel loro Paese d'origine. Il settimanale Slobodna
Bosna ha pubblicato tre ritratti di giovani tutti con ottime referenze di
studio e lauree prese all'estero-un dottorato il primo, poliglotta il secondo e
ingegnere il terzo. Giovani brillanti, ma che non trovano lavoro. E per ultimo,
gli organismi internazionali e le ONG, molto presenti alla fine della guerra,
hanno soppresso un buon numero di impieghi. Questa cosa è stata vissuta, qui da
noi, con molta delusione. I giovani speravano di ricevere una formazione per
poi poter continuare il lavoro. Certo, esistono associazioni locali, ma non
creano lavoro perché non ne hanno i mezzi. Alcune rischiano di chiudere per
mancanza di sovvenzioni, e il nostro governo non riesce ad aiutarle.
D. Gli orfani di guerra che la sua associazione ha aiutato saranno presto adulti. Quali progetti avete per il futuro?
R. Speravo che i giovani che hanno beneficiato del nostro aiuto prendessero il nostro posto e facessero vivere la nostra associazione, con idee nuove. Per il momento, però, non vedo nessuna iniziativa in questo senso. Abbiamo però ugualmente cominciato ad allargare il nostro raggio d'azione alla scuola e all'insegnamento in senso lato. Dal 2003, ad esempio, abbiamo messo in piedi degli atelier psico-creativi. Vi partecipano i bambini e i genitori, guidati da animatori e psicologi. Da noi, i ragazzi vanno a scuola mattino e pomeriggio, ma non esiste alcuna struttura che si occupi di loro fuori dall'ambiente scolastico: sono abbandonati a se stessi. I geni tori non hanno tempo oppure non riescono a farli partecipare a iniziative dove si prevista una quota d'iscrizione. Così abbiamo pensato di organizzare dei laboratori di ceramica e di scultura, di cui approfittiamo per aprire dibattiti tra i ragazzi, le famiglie e gli animatori. Un laboratorio, con gruppi che variano dalle 12 alle 20 persone, è stato dedicato alla psicologia, e ha ottenuto molto successo tra i genitori. C'è bisogno di forum di questo tipo. Spero, dopo averne organizzati a Sarajevo, di portare l'esperienza anche in altre località.
D. A proposito di iniziative per i giovani, cosa mi dice della scuola di musica aperta a Mostar?
D. Dalla sua fondazione, l'associazione
"L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina" ha lavorato a stretto
contatto con varie organizzazioni umanitarie. Come giudica l'azione di queste
ultime?
R. Non riuscirei a dare un giudizio generale sulla loro efficacia, ma posso dirle del lo straordinario appoggio ricevuto dalla nostra organizzazione. Ci hanno aiutato non solo Médecins du monde e la Croce Rossa tedesca, ma una miriade di piccole associazioni e di individui coraggiosi e pieni di energia, come il Forum per la demo crazia nei Balcani e Prométhée Bosnie. Ad Albertville un gruppo di atleti che aveva partecipato alle Olimpiadi del 1992 fondò Perché Sarajevo viva. In piena guerra l'associazione si recò a Mostar, Vitez, Sarajevo, Goražde, con materiale medico e vi dopo la fine della guerra, con materiale scolastico, attrezzature sportive, etc. Il suo dirigente, Henri-Georges Brun, è stato nominato umanista dell'anno dalla veri e, Lega internazionale degli umanisti. Jean-Claude Carreau, padre di uno dei caschi blu morto in Bosnia, si dedica agli orfani. Ci aiuta a finanziare gli studi dei nostri borsisti e ha aperto un centro di vacanze per giovani, La Terra dell'amicizia e della Pace, vicino Sarajevo, di cui è diventato cittadino onorario nel 1999. Se godiamo di tanta simpatia, è essenzialmente grazie all'Associazione Sarajevo, messa in piedi da Faik Dizdarević, che ci ha fatto conoscere in diverse città francesi. È straordinario il fatto che, mentre i governi di tutta l'Europa chiudevano gli occhi davanti al genocidio e alla distruzione, tanti cittadini si siano mobilitati per noi. In Spagna gli Insegnanti per la Bosnia e la polizia di Barcellona; in Italia l'Associazione Sprofondo, egli Studenti del mondo in Belgio. Inoltre La Viva, un coro assai particolare perché canta solo sul tema dei diritti dell'uomo, è divenuto membro della nostra associa zione e fa concerti tra la Bosnia e la Francia, aiutandoci a trovare nuovi sponsor per le nostre attività.
D. Secondo lei, quali sono stati i
momenti più significativi di questi anni passati vicino ai ragazzi?
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venerdì 12 novembre 2021
Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #6
venerdì 5 novembre 2021
Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #5
"L’umorismo bosniaco" di Laura Mafizzoli
venerdì 29 ottobre 2021
Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #4
Quando si progetta una campagna di "crowdfunding" è importante definire, oltre ovviamente agli obiettivi, anche le "ricompense" per i sostenitori. Ma stavolta è stato diverso perché crediamo che tutte le persone che daranno il loro contributo lo faranno per affetto verso Jovan Divjak, perché credono che l'eredità che ci ha lasciato vada custodita e coltivata e non certo per avere in cambio una ricompensa. Però era bello pensare ad un modo unico e originale per ricordare e ricordarci prima di tutto della nostra amicizia con il generale, di come ci si sentiva quando si veniva accolti da lui con il suo modo di raccontare, di coinvolgere, di scherzare. Ogni incontro finiva sempre con qualche barzelletta che aveva spesso come protagonisti Suljo e Mujo. Per questo abbiamo pensato che quelle barzellette potessero essere un bel modo di ricordarlo e Martina, Mariangela, Marica e Paola si sono rese disponibili a realizzare delle vignette che verranno spedite a fine campagna a tutti i sostenitori. Ci teniamo quindi a ringraziarle per aver messo a disposizione - con generosità - la loro creatività e il loro tempo.
venerdì 22 ottobre 2021
Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #3
venerdì 15 ottobre 2021
Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #2
Classe 1937, nato a Belgrado da una famiglia serba. Il padre, Dušan, era insegnante elementare che lavorò in numerose scuole della ex Jugoslavia e così la sua infanzia fu un po’ nomade tra la Bosnia paterna e la Serbia materna. Nel 1942, in piena guerra, il padre fu inviato in una scuola nel Banato a cavallo tra Serbia e Romania dove si unì ai partigiani nella lotta contro i nazisti. Anche la mamma Emilja, casalinga, si unì alla resistenza cucendo bandiere e berretti ornati con la stella rossa per i partigiani e portando di tanto in tanto i rifornimenti di cibo e vestiti.
Finita la guerra, nel 1947, Jovan iniziò le scuole elementari a Bosanka Krupa paese da dove veniva il papà, attraversato dal fiume Una (dove Divjak imparò a nuotare) e dove convivevano bosgnacchi e serbi.
Racconta Jovan del papà “era un tipo simpatico e divertente, capace di scherzare con fanti e santi e anche seduttore incallito. Così un bel giorno mia madre lasciò questo sciupafemmine”.
Così si trasferiscono a Zrenjanin a nord di Belgrado nella Vojvodina, una regione piatta e sferzata dai venti, una regione a maggioranza serba ma storicamente aperta sul mondo, in contatto con Vienna e Budapest, mosaico etnico popolato da ungheresi, rumeni, serbi, slovacchi. Dice ancora il Generale: “ci si mescolava sui banchi di scuola e se c’erano baruffe per delle biglie o sul campo di calcio si trattava di rivalità tra quartieri senza alcuna connotazione etnica”.
Anni di vita povera in cui Jovan impara e conserva il gusto di una vita semplice ma anche spensierata. Ricorda il solo regalo fattogli dalla madre, un corso di ballo, dove con i compagni impara tanto e valzer. A scuola impara lo sloveno, il macedone ma anche il francese e il russo.
La madre era una comunista convinta, per lei fare politica significava agire concretamente per migliorare l’avvenire e credeva in quello che diceva Tito come se fosse l’ordine normale delle cose. Così quando Jovan compie 18 anni gli propone di entrare nel partito.
A 19 anni entra nell’esercito non per vocazione o tradizione di famiglia ma solo perché gli studi militare erano gratuiti. All’accademia militare di Belgrado incontra Vera che lavorava come bibliotecaria e che diventerà sua moglie. Ricorda Jovan: “la mia prima paga divenne il suo abito da sposa. Avevo 23 anni, lei 22. Non ci siamo mai lasciati".
Inizia quindi la sua lunga carriera militare, con momenti di formazione in Francia, presso la scuola dello Stato Maggiore ed entrando nel 1959 nel battaglione della guardia personale di Tito. A proposito di Tito dice Jovan: “Era uno capace di proteggere, una figura paterna, un uomo che aveva conservato la semplicità di un operaio e restava vicino a tutti. Un modello da imitare”. Rifiuta l’idea che possa essere considerato un dittatore crudele. “Un dittatore perseguita il suo popolo e questo non è proprio il suo caso. Era un socialista sincero, estremamente attendo alla classe lavoratrice. Forse un po’ paternalista ma non certo un dittatore”
Era colonnello quando, nel 1992, decise di lasciare l’esercito jugoslavo e di aderire a quello bosniaco per difendere la “sua” Bosnia Erzegovina e in particolare la città di Sarajevo durante la guerra del 1992-1995.
Cos’è stata per lui Sarajevo lo si capisce dalle sue parole: “Vivo da 40 anni nello stesso quartiere a due passi da una antica chiesa ortodossa e da una moschea del XVI secolo. Salendo da casa mia raggiungo il seminario cattolico della Bosnia. Questa armonia, nata dalla differenza, si ritrovava nella vita di ogni giorno. Nel nostro ambiente le famiglie celebravano le loro feste religiose e ci invitavamo a vicenda per il natale cattolico, la pasqua ortodossa o il capodanno musulmano. Mai abbiamo subito pressioni per abbracciare una fede o adottare nuovi usi e costumi. Ero stupito nel vedere una città così ricca di grandi qualità umane, di tolleranza e generosità. Ne sentivo l’immenso fascino. Ne ero completamente innamorato. Amavo i suoi abitanti, cantati da Kemal Monteno in Sarajevo, mon amour, la loro cortesia e il loro amabile stile di vita non li h mai incontrati altrove. Ho questa città nella pelle.”
Nel 1994 dopo aver lasciato l’esercito, ha fondato l’associazione “L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina” che aiuta gli orfani di guerra e che per oltre 25 anni è stata la sua missione di vita.
Ci ha lasciati l’8 aprile del 2021.
Izet Saralic, poeta sarajevese, lo ricorda in un “Ultimo tango a Sarajevo” e, come sanno fare solo i grandi poeti, in due versi che sembrano due pennellate ce lo fa immaginare mentre balla con i suoi stivali infangati.
Ultimo tango a Sarajevo
Il
novantaquattro, 8 marzo.
La Sarajevo degli amanti non si arrende.
Sul tavolo l’invito per il matinée di danza allo Sloga.
Naturalmente ci andiamo!
I
miei pantaloni sono un po’ logori,
e la sua gonna non è proprio da Via Veneto.
Ma noi non siam a Roma,
noi siamo in guerra.
Arriva
anche Jovan Divjak. Dagli stivali si vede
che viene direttamente dalla prima linea.
Quando ti chiede un ballo sembri un po’ confusa.
Per la prima volta ballerai con un generale.
Il
generale non immagina l’onore che ti ha fatto,
ma, a dire il vero, anche tu al generale.
Ha ballato con la donna più celebrata di Sarajevo.
Ma questo tango – questo è solo nostro!
Per
la stanchezza ci gira un po’ la testa.
Mia cara è passata anche la nostra magnifica vita.
Piangi, piangi pure, non siamo in Via Veneto,
e forse questo è il nostro ultimo ballo.
Abbiamo avuto l’onore e la fortuna di incontrarlo molte volte, proprio nella sede della sua associazione, ma anche di averlo come ospite a Venezia il 16 aprile 2012. Un video, purtroppo di qualità non eccellente, ci ricorda l’incontro pubblico tenuto a Ca' Farsetti il 16 aprile 2012: https://www.youtube.com/watch?v=UuA4xH20Oxc
Per sostenere l'associazione "L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina":
- tramite paypal su account buongiorno.bosnia@gmail.com
- tramite bonifico bancario sul conto corrente (Poste) intestato all’associazione Buongiorno Bosnia, IBAN: IT07Y0760102000001015785288
(indicando il proprio indirizzo mail al momento della donazione si riceveranno 4 vignette inedite con le barzellette di Suljo e Mujo che Jovan Divjak amava raccontare alla fine di ogni incontro con lui).