(Lorenzo Mayer) «Ricordo tutto quello che mi è successo il 12 luglio del 1992: una formazione paramilitare entrò a Skocici e cambiò per sempre la mia vita. Mi dissero che avrei visto subito mia madre e hanno sparato. Non si può dimenticare. Ma si può decidere di perdonare. E perdonare significa voler guardare avanti». Questa la grande lezione di Zijo Ribi´c, bosniaco, che è un "olimpionico": così viene chiamata la classe dei nati nel 1984 nell'ex Jugoslavia, unico sopravvissuto al genocidio nel suo paese natale. Testimone per i Diritti Umani, ieri sera Zijo era al Lido, come cuoco d'eccezione di una cena balcanica, ospitata nel patronato di Santa Maria Elisabetta. La serata, organizzata dal Centro pace del Comune, insieme alla municipalità del Lido e Pellestrina, all'associazione "Il Villaggio" ed in collaborazione con la Fondazione Alexander Langer Stiftung che sta portando la drammatica storia del ragazzo, che a otto anni ha visto sterminata tutta la sua famiglia, in giro per l'Italia. Obiettivo dell'iniziativa aiutare il ragazzo, oggi ventottenne, a metter su casa e a farsi uno famiglia, un po' il suo sogno, dopo che quella d'origine è stata brutalmente sterminata. «Non importa se sei croato, cattolico o musulmano - racconta - l'unica differenza che c'è non sta nel colore della pelle, nella provenienza o religione, ma se sei uomo o una bestia». Poi racconta le sue impressioni di questi giorni a Venezia. «Non l'avevo mai vista - prosegue - sono rimasto incantato a trovare una città che vive sull'acqua. In fondo i veneziani sono i nostri "vicini di casa", sull'altra sponda dell'Adriatico. Con la città abbiamo un rapporto consolidato: già nel 1994 ci fu un gemellaggio, con sindaco Cacciari, tra Venezia e Sarajevo, città sotto assedio. Rapporto che ora l'assessore Bettin ha voluto riprendere e portare avanti». Poi torna con la mente alla tragedia vissuta. «Ho rivisto quelle persone, responsabili del massacro della mia famiglia, dopo 20 anni. Mi ricordo le loro facce, le ho riconosciute in tribunale. Loro mi hanno massacrato la famiglia. Non so se li odio, forse non mi hanno insegnato a odiare, però questo sentimento non mi appartiene. Ricordo quando sono arrivati e ci hanno presi. Prima ci hanno picchiati, cercando oro e armi. Hanno detto che non avrebbero fatto niente alle donne e ai bambini. Ci hanno raggruppati tutti davanti alla casa. Invece ci hanno sterminati. Io mi sono salvato per un errore. Ho sentito degli spari e un fendente di lama nel collo. Ho fatto finta di essere morto. E mi hanno gettato nella fossa insieme agli altri che avevano appena ammazzato». Un dramma che lo ha segnato per sempre, ma che oggi non gli impedisce di vivere e di portare a tutti il suo messaggio forte di fratellanza e perdono. Ora cerca un lavoro che gli consenta di costruirsi una vita normale.
Da "Il Gazzettino"
RispondiElimina(Lorenzo Mayer) «Ricordo tutto quello che mi è successo il 12 luglio del 1992: una formazione paramilitare entrò a Skocici e cambiò per sempre la mia vita. Mi dissero che avrei visto subito mia madre e hanno sparato. Non si può dimenticare. Ma si può decidere di perdonare. E perdonare significa voler guardare avanti». Questa la grande lezione di Zijo Ribi´c, bosniaco, che è un "olimpionico": così viene chiamata la classe dei nati nel 1984 nell'ex Jugoslavia, unico sopravvissuto al genocidio nel suo paese natale. Testimone per i Diritti Umani, ieri sera Zijo era al Lido, come cuoco d'eccezione di una cena balcanica, ospitata nel patronato di Santa Maria Elisabetta. La serata, organizzata dal Centro pace del Comune, insieme alla municipalità del Lido e Pellestrina, all'associazione "Il Villaggio" ed in collaborazione con la Fondazione Alexander Langer Stiftung che sta portando la drammatica storia del ragazzo, che a otto anni ha visto sterminata tutta la sua famiglia, in giro per l'Italia. Obiettivo dell'iniziativa aiutare il ragazzo, oggi ventottenne, a metter su casa e a farsi uno famiglia, un po' il suo sogno, dopo che quella d'origine è stata brutalmente sterminata.
«Non importa se sei croato, cattolico o musulmano - racconta - l'unica differenza che c'è non sta nel colore della pelle, nella provenienza o religione, ma se sei uomo o una bestia». Poi racconta le sue impressioni di questi giorni a Venezia. «Non l'avevo mai vista - prosegue - sono rimasto incantato a trovare una città che vive sull'acqua. In fondo i veneziani sono i nostri "vicini di casa", sull'altra sponda dell'Adriatico. Con la città abbiamo un rapporto consolidato: già nel 1994 ci fu un gemellaggio, con sindaco Cacciari, tra Venezia e Sarajevo, città sotto assedio. Rapporto che ora l'assessore Bettin ha voluto riprendere e portare avanti». Poi torna con la mente alla tragedia vissuta. «Ho rivisto quelle persone, responsabili del massacro della mia famiglia, dopo 20 anni. Mi ricordo le loro facce, le ho riconosciute in tribunale. Loro mi hanno massacrato la famiglia. Non so se li odio, forse non mi hanno insegnato a odiare, però questo sentimento non mi appartiene. Ricordo quando sono arrivati e ci hanno presi. Prima ci hanno picchiati, cercando oro e armi. Hanno detto che non avrebbero fatto niente alle donne e ai bambini. Ci hanno raggruppati tutti davanti alla casa. Invece ci hanno sterminati. Io mi sono salvato per un errore. Ho sentito degli spari e un fendente di lama nel collo. Ho fatto finta di essere morto. E mi hanno gettato nella fossa insieme agli altri che avevano appena ammazzato».
Un dramma che lo ha segnato per sempre, ma che oggi non gli impedisce di vivere e di portare a tutti il suo messaggio forte di fratellanza e perdono. Ora cerca un lavoro che gli consenta di costruirsi una vita normale.