Bibliografia

I seguenti libri sono a disposizione dei soci dell'associazione


Joze Pirjevec, “Le guerre jugoslave 1991-1999”

I dieci anni di guerra nella ex Jugoslavia in una ricostruzione storica, politica, militare e religiosa che presenta nel modo più esauriente possibile una questione che ha segnato in modo così tragico l'ultimo scorcio del secondo millennio. Nel periodo tra il 1991 e il 1999, sul territorio delle repubbliche ex jugoslave, hanno avuto luogo sei diverse vicende belliche, a cominciare dall'intervento dell'Armata popolare in Slovenia per finire con quello della Nato in Serbia. Sulla base del materiale raccolto negli archivi, delle interviste con alcuni protagonisti e di una vasta indagine condotta su quotidiani e riviste di tutti i paesi coinvolti nel conflitto, Pirjevec ha ricostruito le diverse guerre jugoslave nei loro risvolti politico-militari e nelle loro implicazioni a livello mondiale, prendendo in esame tanto le dinamiche interne e gli aspetti sociali che le hanno condizionate, quanto l'intervento delle grandi potenze. Attraverso una varietà di approcci, Pirjevec delinea uno spaccato esemplare della intricata realtà internazionale di oggi e delle sue contraddizioni interne, determinate dal tramonto delle certezze e degli equilibri imposti al mondo dalla guerra fredda. Le guerre jugoslave ha vinto il Premio Acqui Storia 2002.

Ivo Andric, “Il ponte sulla Drina”

Attraverso la storia del più famoso ponte della Bosnia, si traccia un affresco di questa regione dalla fine del XV secolo alla prima guerra mondiale.

Paolo Rumiz, "Maschere per un massacro"

Un reportage esemplare capace di svelare i veri meccanismi della guerra balcanica dietro i fraintendimenti e le mistificazioni. «La guerra mette a nudo la verità degli uomini e insieme la deforma. Ci sono tanti aspetti di questa verità; uno di essi è la cecità generale - cecità delle vittime, degli spettatori (i servizi d'informazione occidentale, oscillanti tra esasperazione, ignoranza o rimozione dell'orrore e fra cinismo e sentimentalismo) e della “grande politica”, che nel libro di Rumiz fa una figura grottesca!» (Claudio Magris)

Jovan Divjak, "Sarajevo, mon amour"

"Vivo da 40 anni nello stesso quartiere, a Sarajevo, a due passi da un’antica chiesa ortodossa e da una moschea del XVI secolo. E salendo appena, da casa mia, raggiungo il seminario cattolico. Prima della guerra, quest’armonia, nata dalla differenza, si ritrovava nella vita d’ogni giorno… Sarajevo m’ha aperto gli occhi. Ero stupito nel vedere una città così ricca di grandi qualità umane, soprattutto la tolleranza e la generosità”. La guerra, le figure fosche di Miloševic, Karadžic e Mladic, ma anche le contraddizioni e i voltafaccia della componente musulmana durante la guerra e i nazionalismi sorti dalla devastazione bellica sono rivelati e spiegati in un libro carico di pathos destinato a finire tra i grandi volumi di storia. In questo libro, il militare serbo che difese Sarajevo, che ha “adottato” un nipote musulmano e ha fondato la più grande associazione nazionale per aiutare gli orfani di guerra, racconta le bombe, le tribolazioni dei civili, i doppi giochi dei politici bosniaci e della comunità internazionale, la miseria e il desiderio di una pace che in Bosnia non è ancora davvero arrivata.

Luca Rastello, “La guerra in casa”

La guerra in casa è un libro non sulla guerra nella ex-Jugoslavia, ma su quella guerra e noi.Il cecchino, carnefice per eccellenza, che prova a ricominciare a vivere in Italia. L'incubo di Izmet, prelevato dalla polizia di stato un giorno qualsiasi e massacrato perché musulmano. La storia di Sead e Esad, fratelli e nemici, e quello che hanno visto nei campi di sterminio. Ma anche l'accoglienza a Torino di centinaia di profughi e il coinvolgimento, spesso casuale e involontario, di persone comuni.La forza del libro sta proprio in questo doppio punto di vista, Torino e gli infiniti luoghi del conflitto laggiù, che si trasforma in un altro conflitto privato, "qui". Le storie di esuli e volontari, e la grottesca epopea di generali e soldati delle Nazioni Unite, risultano scomode e in disaccordo con l'ideologia umanitaria denunciata da Rastello. "A volte uno sguardo innocente - scrive l'autore - è disposto a compiere un delitto per preservarsi tale".

Elvira Mujicic, "Aldilà del caos"

La vicenda di una bambina di 12 anni costretta a lasciare la sua città nel pieno della guerra di Bosnia.

Elvira Mujicic, "E se Fuad avesse la dinamite"

Visegrad, Bosnia settentrionale, 1992. Un gruppo di musulmani bosniaci asserragliati nella diga che domina la città minaccia in diretta Tv di farla esplodere se i paramilitari serbi non cesseranno di sgozzare esseri umani e gettarli nella Drina. Il giovane Zlatan, 15 anni dopo, ripercorre la vicenda, intrecciando le sue vicende con quelle del protagonista, ancora vivo.

Luca Leone, "Srebrenica. I giorni della vergogna"

Luglio 1995: a ridosso della fine della guerra di Bosnia (1992-1995) cadde Srebrenica, enclave musulmana protetta dai caschi blu dell'Onu. Una tragedia, che il Tribunale internazionale dell'Aja per l'ex Jugoslavia ha definito genocidio, costruita a tavolino non solo con l'obiettivo di conquistare la città o di procedere alla strage degli appartenenti a una nazionalità. Obiettivo principale era minare la continuità della storia di convivenza pacifica e secolare tra popoli in Bosnia all'interno di una cultura cosmopolita. Il libro è un viaggio nel genocidio a dieci anni dalla tragedia di Srebrenica.

Leone Luca Noury Riccardo, "Srebrenica. La giustizia negata"

Srebrenica, Bosnia Erzegovina, 11 luglio 1995: oltre diecimila maschi tra i 12 e i 76 anni vengono catturati, torturati, uccisi e inumati in fosse di massa. Stesso destino hanno alcune giovani donne abusate dalla soldataglia. Le vittime sono bosniaci musulmani, da oltre tre anni assediati dalle forze ultranazionaliste serbo-bosniache agli ordini di Ratko Mladić e dai paramilitari serbi.
Quattro lustri dopo, rimane un profondo senso di ingiustizia e di impotenza nei sopravvissuti e un pericoloso messaggio di impunità per i carnefici di allora, in buona parte ancora a piede libero e considerati da alcuni persino degli “eroi”.
Questo libro è un reportage nel buco nero della guerra e del dopoguerra bosniaco e nel vuoto totale di giustizia che ha seguito il genocidio di Srebrenica, una delle pagine più nere della storia europea del Novecento e sicuramente la peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale.
“L’ipocrisia, il cinismo e l’indifferenza della politica interessata solo al potere, fanno sì che ancora, a Srebrenica, le vittime degli orrori debbano vedersi quotidianamente davanti, impuniti, arroganti, beffardi, minacciosi – spesso trasformati in eroi –, molti dei loro carnefici o quelli dei loro cari sepolti in fosse comuni o fatti a pezzi e conservati in frigoriferi, gli stupratori individuali e di massa, e non possano elaborare immani sofferenze e lutti atroci. Noi piccoli o grandi militanti della Memoria e attivisti dell’integrità inviolabile dell’uomo, ci sentiamo presi alla gola da un insopprimibile senso di impotenza sfregiato da revisionismi e negazionismi. Qualcosa però possiamo farlo!”. (Moni Ovadia)
“Luca Leone e Riccardo Noury sanno quanto sia importante raccontare ciò che è stato fatto a Srebrenica e quanto sia vitale che anche gli altri, più persone possibile, sentano e facciano qualcosa affinché finalmente avvenga quello che le Donne di Srebrenica da anni chiedono durante le loro proteste non violente, che si svolgono l’11 di ogni mese a Tuzla: ‘Noi vogliamo verità e giustizia, e vogliamo condanne per i criminali’”. (Irfanka Pašagić)
“Il popolo bosniaco va accompagnato e aiutato verso quell’Europa che qui ha dimenticato a lungo le sue carte dei diritti e da qui deve ripartire in un cammino, arduo ma possibile, di pace e giustizia”. (Silvio Ziliotto)
“I bosniaci hanno un cuore grande e meritano un futuro positivo. Spero davvero che andrà sempre meglio. Io continuerò a fare il massimo per aiutare il mio Paese”. (Miralem Pjanić)

Leone Luca, "Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio"

Nella primavera del 1992, all’inizio del conflitto che sino alla fine del 1995 insanguinerà la Bosnia Erzegovina, Višegrad viene sottoposta a un intenso bombardamento da parte dell’esercito regolare jugoslavo. Ritiratesi le forze armate, millantando una situazione ormai sicura e sotto controllo, la cittadina della Bosnia orientale finisce sotto il controllo di un gruppo paramilitare guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić, che inaugurano un regime del terrore e dell’orrore. In pochi mesi la pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale – viene portata a termine con operazioni di rastrellamento, deportazioni, omicidi di massa e persino attraverso la combustione, in almeno due casi, di decine di civili all’interno di case private. Circa tremila persone vengono uccise e fatte scomparire. Lo stupro etnico ai danni di donne, bambini e uomini diviene pratica comune. Il fiume Drina, mirabilmente cantato dal premio Nobel per la letteratura Ivo Andrić, diviene la più grande fossa comune di quella guerra.
Questo reportage scritto sul campo racconta le vicende, raccoglie le testimonianze di tutte le parti e fa il punto sull’episodio che ha rappresentato la prova generale di ciò che sarebbe accaduto tra il 1992 e il 1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri luoghi passati alla storia per la crudeltà degli eventi verificatisi.
“Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo Noury)

Adriano Sofri, "lo specchio di Sarajevo"

L'esperienza umana e professionale di Sofri come inviato a Sarajevo nei terribili giorni dell'assedio della città, le posizioni dell'autore a favore dell'intervento militare, che hanno provocato un dibattito acceso all'interno della sinistra, il ruolo dell'informazione durante i conflitti.

Uson Clara, "La figlia"

Una riflessione sulla recente storia europea, sul male assoluto che si annida nel suo cuore. Il racconto della vita di una ragazza che ha tutto, talento, bellezza, l’amore incondizionato del padre. Un padre, Ratko Mladic, il «Boia dei Balcani», accusato di genocidio. Ana è una ragazza estroversa, allegra, brillante, con un futuro pieno di promesse. È la migliore alunna del suo corso di medicina a Belgrado, è amata dagli amici, è la prediletta e l’orgoglio di suo padre, il generale Ratko Mladic, che lei ricambia con una adorazione assoluta. Un viaggio a Mosca è l’occasione di passare alcuni giorni spensierati, in giro per una grande città, con il solo pensiero di divertirsi. Invece al ritorno Ana è cambiata. È triste e taciturna. Una notte afferra una pistola, quella a cui il padre tiene di più, e prende una decisione definitiva, che segnerà per sempre la vita della sua famiglia. Ha solo ventitré anni. A Mosca, tra corteggiamenti e feste, in compagnia degli amici più cari, Ana scopre il volto nascosto del padre, per lei un eroe, per tutti un criminale e una belva feroce, responsabile dei maggiori eccidi del dopoguerra: l’assedio di Sarajevo, il massacro di Srebrenica, la pulizia etnica in Bosnia. Crimini che lo porteranno a essere accusato di genocidio, in un processo che dopo una latitanza durata 16 anni è iniziato a maggio del 2012. Pochi casi come quello di Ana Mladic rivelano in tutta la sua oscura profondità una condizione a cui nessun essere umano può sfuggire: la perdita dell’innocenza. Clara Usón, in un romanzo potentissimo che la consacra come una delle grandi scrittrici europee, si immerge in una vicenda di forza shakespeariana mantenendo un perfetto equilibrio tra i dati storici e la creatività letteraria, per scrutare nella follia del male, dell’amore, e nel labirinto emotivo dell’infinità di voci e congetture raccolte in tre anni di ricerche.

Geraldine Brooks, "I custodi del libro"

Uno dei libri più preziosi della civiltà umana: l'“Haggadah” di Sarajevo. Sopravvissuto all'Inquisizione, ai tentativi di furto, a roghi e distruzioni provocati dall'odio e dall'intolleranza religiosa, il manoscritto è giunto incredibilmente fino a noi grazie ad alcuni uomini giusti, appartenenti a ogni cultura e tradizione, come simbolo della forza della vita che si oppone alle tenebre della morte. In un romanzo che unisce il dettaglio storico alla forza di una narrazione trascinante, il ritmo di un thriller alla profondità psicologia dei personaggi, Geraldine Brooks, racconta una storia esemplare, che ha incontrato il successo e la passione dei lettori in tutto il mondo.

Wojciech Tochman, “Come se mangiassi pietre”

In Come se mangiassi pietre, Wojciech Tochman ci trasporta nel presente della ex Yugoslavia con un reportage dal grande valore letterario. Grazie al suo sguardo unico e al suo stile essenziale, sempre aderente alla vita, riesce a trasformare ciò che racconta in un universo narrativo da cui è impossibile staccarsi e rimanere estranei. Un gioco a incastro fatto di storie che sfumano una nell'altra e che ci riporta le testimonianze dei sopravvissuti, i ricordi e la forza delle donne che provano a superare l'orrore e le conseguenze di un conflitto devastante. Ecco la dottoressa Eva Klonowski che tenta di dare un nome agli scomparsi, ecco le mogli che vorrebbero smettere di attendere, le madri che ancora cercano i figli ma anche le donne che ricostruiscono il presente curando le offese della terra e ricominciando a coltivarla. Cosa rimane quando la guerra finisce e i militari se ne vanno? Quando i reporter fanno i bagagli e ripartono verso altre guerre? Tochman ce lo racconta, con un'opera molto originale, nell'unico modo in cui è possibile farlo, ponendosi di fatto tra i nomi che hanno reso grande il genere del reportage letterario come Ryszard Kapuscinski, Tiziano Terzani, Javier Reverte.

Marco Magini, "Come fossi solo"

Si tratta di un romanzo su Srebrenica con tre voci protagoniste che si intrecciano: un casco blu olandese, un soldato serbo e un giudice del tribunale internazionale. La vicenda è raccontata quindi attraverso gli occhi e le vite di queste persone. L'ultimo capitolo in particolare è molto forte perché racconta le esecuzioni attraverso il racconto del soldato serbo - Drazen Erdemovic - condannato nel 1996 a dieci anni per crimini contro l'umanità...
"Sono nato a pochi chilometri da qui, nella parte a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina da genitori croati. Non che questo facesse una gran differenza per me. La mia generazione non si è mai domandata se la ragazza con la quale uscivamo fosse serba o croata, o se il compagno di squadra fosse musulmano.”
"A Srebrenica l’unico modo per restare innocenti era morire".

Izet Sarajlic "Chi ha fatto il turno di notte"

Un maestro della poesia anaforica, incalzante, oratoria. E però, contemporaneamente, intima, capace di far risuonare il silenzio fra le parole per toccare le corde più riposte di un sentimento. Sarajlic è uno dei grandi poeti del secondo Novecento: ha affrontato temi di poesia civile, l'amore, la morte, l'arte, sempre trovando le vie apparentemente divergenti dell'emozione e dell'ironia. Questo grazie a un calore umano intensissimo che passa in ogni suo verso e arriva al lettore con forza contagiosa. Lo hanno amato poeti molto diversi fra loro, come Enzensberger, Brodskij, Simic, proprio perché la sua voce poetica ha un segno unificante, è il simbolo di una poesia universale, colta ma immediata, sempre consapevole ma lontana dalle scuole e dalle tendenze. A dieci anni dalla morte, questo libro propone una scelta di poesie di Sarajlic, alcune inedite in italiano, che ripercorre circa cinquant'anni della sua straordinaria esperienza poetica.

Suljagic Emir, “Cartolina dalla fossa”

Resoconto dell'assedio di Srebrenica, preludio al più spietato crimine di genocidio perpetrato in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale, con la connivenza delle Nazioni Unite e dell'Europa. Il libro rievoca l'assurdo quotidiano nell'enclave assediata fino all'11 luglio 1995, quando trentamila profughi inermi furono consegnati nelle mani dei loro carnefici da quelle stesse truppe ONU che avrebbero dovuto proteggerli: così oltre 8000 uomini e ragazzi innocenti vennero uccisi a sangue freddo, i loro corpi gettati nelle fosse comuni e poi dispersi per cancellare ogni traccia. Oggi i luoghi della strage appaiono anonimi e abbandonati, ma il nome di Srebrenica rievoca un crimine che non possiamo dimenticare.

Paolo Rumiz, "La cotogna di Istambul"

Paolo Rumiz scommette sulla forza delle grandi storie e si affida al ritmo del verso, della ballata. Ne esce un romanzo-canzone singolare, fascinoso, avvolgente come una storia narrata intorno al fuoco. Racconta di Max e Maša, e del loro amore. Maximilian von Altenberg, ingegnere austriaco, viene mandato a Sarajevo per un sopralluogo nell’inverno del ’97. Un amico gli presenta la misteriosa Maša Dizdarevic´, “occhio tartaro e femori lunghi”, austera e selvaggia, splendida e inaccessibile, vedova e divorziata, due figlie che vivono lontane da lei. Scatta qualcosa. Un’attrazione potente che però non ha il tempo di concretizzarsi. Max torna in patria e, per quanto faccia, prima di ritrovarla passano tre anni. Sono i tre anni fatidici di cui parlava La gialla cotogna di Istanbul, la canzone d’amore che Maša gli ha cantato. Maša ora è malata, ma l’amore finalmente si accende. Da lì in poi si leva un vento che muove le anime e i sensi, che strappa lacrime e sogni. Da lì in poi comincia un’avventura che porta Max nei luoghi magici di Maša, in un viaggio che è rito, scoperta e resurrezione.

Svetlana Broz, “I giusti nel tempo del male. Testimonianze dal conflitto bosniaco

Nei primi anni Novanta nessuno in Jugoslavia immaginava cosa sarebbe successo. Nelle città e nelle campagne, la gente viveva una vita normale, non molto diversa che nel resto d’Europa, che nella nostra vicina Italia. Ma il male arrivò presto, come una tempesta terribile, e sconvolse la vita di tutti e nulla fu più come prima. In pochi lo videro annunciarsi nella montante propaganda nazionali sta, nel repentino ricambio dei quadri dirigenziali di fabbriche e organizzazioni, nei primi screzi diplomatici fra regioni e gruppi etnici. La maggior parte della gente comune vi si trovò catapultata, come in un brutto sogno da cui, ormai, non era più possibile svegliarsi. Chi fu responsabile di tutto questo? Delle distruzioni, dei saccheggi, della violenza più atroce, degli stupri e delle torture, della fame, del freddo, delle umiliazioni? All’improvviso accadde, fu la notte della ragione, il ritorno ad Auschwitz, la morte di Dio e la morte dell’Uomo. Come fu possibile? Come poté accadere così vicino a tutti noi? Di fronte alla tragedia della guerra, Svetlana Broz però vuole parlarci di speranza, dei giusti nel tempo del male, di tutte quelle persone, donne, uomini, ragazzi, che seppero dire no nel momento in cui questo era più difficile e scomodo, a costo della propria stessa vita. Gente comune con un cuore straordinario, eroi veri di una storia vera. Grazie alle testimonianze di questo libro ci saranno d’esempio, indicando la strada, come luci nella notte del dolore.

Nuhefendic Azra, “Le stelle che stanno giù. Cronache dalla Jugoslavia e dalla Bosnia Erzegovina”

Da una delle più autorevoli giornaliste bosniache, autrice di formidabili reportage per Nazione Indiana e Osservatorio dei Balcani, diciotto cronache, in gran parte inedite. L’idea è narrare pezzi di vita di un Paese scomparso (la Jugoslavia) e di un Paese che presto potrebbe scomparire (la Bosnia Erzegovina), mescolando l’esperienza personale, la storia ufficiale, i ricordi, i miti, i pregiudizi e gli stereotipi. E la scrittura della Nuhefendic sa toccare le corde più intime della sensibilità, senza scadere nella facile retorica. Obiettivo dichiarato del volume è offrire uno spaccato di quella martoriata area geografica, superando il limite che finora ha accomunato le narrazioni su quei Paesi: basarsi su storie di terza mano. Prefazione di Paolo Mastroianni.

Sanda Pandza, "Una ragazza con la valigia"

Gigantografie di Tito alle pareti, l’inno jugoslavo cantato con orgoglio il giorno del giuramento da pioniere. Così ha inizio la storia di Petra, legata a doppio filo con quella della sua terra, la Croazia.
In prima persona, la protagonista narra gli episodi più importanti della sua giovane vita: con delicatezza accenna al primo amore e alla consapevole scoperta della sessualità; con passione ricorda i giorni del liceo, le lezioni di letteratura e le amicizie; con fervore alza la voce e si scaglia contro le ingiustizie del sistema, l’obbligo a un’esercitazione militare finita in tragedia, e contro la rigida autorità paterna. Al suo fianco, l’inseparabile amica Maja; sullo sfondo, le vicende politiche che condurranno la Jugoslavia nell’incubo di una guerra assurda.
Proiettili come farfalle nere taglieranno il cielo di Spalato mandando in frantumi la quotidianità, le certezze e i sogni di Petra, ma non la sua voglia di vivere e di cercare la bellezza in ogni cosa.

Lorenzo Mazzoni, “Il muggito di Sarajevo”

Nata per essere assediata. È così che si sente Amira, diciotto anni e un grande sogno da realizzare nella città di Sarajevo del ’93, lacerata dalle rappresaglie tra serbi e bosniaci. Il cuore della suonatrice di cigar box guitar batte all’unisono con i colpi di mortaio e le raffiche di mitra, ma Amira canta la sopravvivenza, la speranza. Della band Senza Strumenti fanno parte anche il colonnello Mustafa Setka, mago del basso, e il gigantesco ballerino di kolo, Masne, alle percussioni. I due, per tutto il giorno, seguono Jack, meglio conosciuto come Mozambik l’irlandese, fidanzato di Amira, spacciatore. All’occorrenza, Jack si offre come guida agli inviati di guerra che affollano l’Holiday Inn semidistrutto. Così conosce Carlo e Oscar, due fotoreporter italiani che inseguono uno scoop davvero straordinario: tra macerie e bombe, intendono trovare una vacca indiana che si dice abbia poteri da chiromante. Sarà per caso la Zebù gir che il vecchio Ivan nasconde nella corte interna del suo negozio di tabacchi, adattato a fumeria d’oppio dopo l’inizio del conflitto? Del resto, non è la sola ospite che il commerciante  cela a sguardi e orecchie indiscrete. In uno sgabuzzino è segregato, infatti, un serbo fuori di testa che, dopo una scorpacciata di funghi allucinogeni, si è ritrovato al di là delle linee nemiche. Lo scopo di Ivan è rispedirlo al mittente in cambio di un riscatto, da chiedere a un oscuro cecchino dei servizi segreti serbi, che trova la concentrazione solo canticchiando le hit di Barbra Streisand. Niente a che vedere con i Nirvana di Kurt Cobain, che Amira ha scoperto grazie a un lontano cugino olandese, di origine bosniaca, diviso tra rock e fede religiosa da quando ha abbracciato l’Islam in prigione.
Il muggito di Sarajevo è un’altra carrellata di personaggi unici, protagonisti di una storia cruda, toccante, avventurosa, grottesca, dall’ipnotico ritmo grunge.

Luca Leone, “Saluti da Sarajevo. Passato e presente di una grande Capitale che rinasce”

Saluti da Sarajevo è un omaggio a una città stupenda, straziata fin nel profondo dell’anima dalla barbarie della guerra ma, ciò nonostante, ineguagliabile per la sua capacità di accogliere e di stupire.
Saluti da Sarajevo narra 4.500 anni di storia della città e ne racconta gli scorci e l’essenza attraverso splendide immagini a colori e consigli di percorsi di visita, concentrandosi sulla sua urbanità incredibile, sulla sua innata e insopprimibile tolleranza e laicità.
Seguendo la scelta fatta con Bosnia Express – ovvero avviare una nuova fase di narrazione sulla Bosnia Erzegovina, che non si occupi più solo del passato e in particolare della guerra ma che invece si concentri sul presente e sulle prospettive future – l’autore di Saluti da Sarajevo racconta con immagini a colori di alta qualità e testi la Capitale bosniaca di oggi, descrivendone scorci, percorsi, storia, sviluppo, contraddizioni, e disegnando un libro a metà strada tra il reportage giornalistico, il diario di viaggio e la guida sia per neofiti che per conoscitori della città.
Saluti da Sarajevo, progetto unico nel suo genere, porta il lettore a confrontarsi con una Sarajevo inattesa, nuova, a tratti altera ma sempre accogliente, concentrandosi sui suoi quartieri e luoghi più importanti e unici, che raccontano una storia e mille storie affascinanti e uniche, come unica sa, può e deve essere Sarajevo.
“A sedici-diciassette anni ho conosciuto il mio futuro marito. Lui, nato sarajevese da un’antica famiglia, mi portava nei posti più belli e dall’alto mi faceva vedere la sua città, mi raccontava le storie degli abitanti, delle sue vie, delle case. Mi raccontava la bellezza delle tradizioni portate da queste parti da vari popoli... E non so più se mi sono innamorata prima di lui o della sua città”. (Kanita Ita Fočak).

Luca Leone, “Mister sei miliari. I giovani, la scuola, il lavoro, la salute, il futuro della Bosnia Erzegovina”

C’era una volta, in un luogo affatto lontano, non molto tempo fa come oggi, un Paese in cui bambini e giovani parevano non avere speranza.
Era, quello, un posto in cui i “signori” di una terribile guerra avevano ucciso, violato, cancellato ogni diritto, annientato sogni, azzerato speranze.
Un luogo, potete bel capirlo, in cui per quattro anni il buio aveva catturato, ogni mattino, la forza buona della luce, nascondendola in un forziere alla fine di un arcobaleno che da allora in avanti nessuno ha più veduto.
Oggi, in quel Paese affatto lontano, i giovani sono costretti a frequentare scuole in cui bambini e ragazzi di una religione non possono convivere in classe, giocare a ricreazione e crescere con bambini e ragazzi di un altro credo. In quel Paese per niente lontano anzi molto vicino, i programmi scolastici sono scritti dai nazionalisti non per insegnare e unire ma con lo scopo di dividere e contrapporre; e per i ragazzi che cercano un lavoro la risposta è quasi sempre no.
Di questo luogo in cui chi non ha lavoro non può avere un’assistenza sanitaria decente, in cui chi è diversamente abile lo è almeno due volte di più che altrove, in cui la forbice sociale è stata divaricata in tempo di pace oltre ogni limite raccontiamo in questo libro, in cui si riscontra «passo passo l’applicazione della formula orwelliana “chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato” attraverso il tentativo di separare e segregare l’istruzione sulla base di linee nazional-religiose». (Riccardo Noury)
«Luca Leone rende omaggio ai “costruttori” ostinati, donne e uomini, e li vede all’opera soprattutto in un settore specifico e universale, quello dell’Educazione, della Scuola, della Formazione. Il presente di questo settore, in Bosnia Erzegovina, è fatto di divisione, di ingressi separati nelle aule per studenti di confessione religiosa diversa, di programmi non condivisi, così come gli alfabeti – cirillico e latino – usati a discrezione degli insegnanti, non a unire ma a sottolineare appartenenze…». (Gianluca Paciucci)

Luca Leone, "Bosnia express"

Un dopoguerra interminabile, quello della Bosnia Erzegovina. Oggi, tre lustri dopo, il Paese è in mano a politici corrotti, alle mafie che ripuliscono il denaro sporco nel settore immobiliare e nelle banche occidentali e arabe, a gruppi stranieri che giorno dopo giorno esigono il pagamento di un dazio infinito, il cui peso ha avuto origine nella guerra del 1991-1995. Bosnia Express è il viaggio in un Paese deragliato, con un ritardo strutturale di quarant'anni, ridotto economicamente e culturalmente in ginocchio e squassato dai nazionalismi e dalle contrapposizioni di credo, ma ciò nonostante capace di destare molti appetiti. E di sorprendere.

Luca Leone, "I bastardi di Sarajevo"

I bastardi di Sarajevo ringhiano forte, sia nel presente che nei ricordi del passato dei protagonisti del libro. C’è la crudeltà e la spregiudicatezza dei carnefici e la sofferenza taciuta delle vittime, soprattutto donne. La voglia di rivoluzione dei giovani e la saggezza rassegnata e ironica di un Professore. La brama sanguinaria di certi turisti e la ricerca di redenzione da parte di chi – come molti di noi – ha guardato da spettatore la guerra e non ha fatto ciò che doveva. I personaggi sfilano davanti al lettore sul palcoscenico decadente di una Sarajevo dai mille angoli bui, con l’autore che tesse una trama perfetta e avvincente fatta di soli dialoghi. Il teatro dei bastardi di Sarajevo non ha ancora calato il sipario.

Langer Alexander, “Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995”

Alexander Langer, facendo tesoro di una formazione familiare e regionale incline all’uso di più lingue e al confronto di più popolazioni e tradizioni, ha avuto il coraggio di guardare alla presenza umana sulla terra e alla convivenza fra persone e genti diverse con una intelligenza profonda e una generosità di sentimenti che i tempi stretti e la selezione al ribasso della politica di norma escludono. Come parlamentare europeo si è prodigato contro la brutalità delle superbie nazionaliste, delle guerre di sopraffazione, delle pulizie etniche e si è battuto per salvare il mondo dalla distruzione delle sue risorse naturali e della sua bellezza. Questo libro raccoglie una scelta di suoi scritti a partire dal primo impegno religioso e civile dell’adolescente Langer. Sono articoli per giornali e riviste, testi di interviste e colloqui, ritratti di persone e resoconti di viaggi e di amicizie - da don Milani a Ivan Illich e Reinhold Messner -, appelli per campagne militanti e spiegazioni sul funzionamento delle istituzioni, digressioni autobiografiche, confessioni personali. Un libro di testo vivace e lungimirante per chiunque voglia misurarsi col nostro destino sulla terra, e la testimonianza di una vita invidiabilmente ricca di lingue parlate e ascoltate, di viaggi e di incontri, e soprattutto, nonostante la stanchezza, di amore.

Ivica Dikic, "Metodo Srebrenica" 

Come si fa ad organizzare l’uccisione di 8.000 uomini? Questo libro non ci illustra il perché è successo, ma il come è successo. Proprio attraverso il racconto delle modalità pratiche ci fa entrare nelle pieghe umane e mostruose di questo tragico episodio della storia recente europea. Il genocidio di Srebrenica è stata un’operazione razionale e pianificata, coordinata e organizzata dal
colonnello Beara.
In questo libro Đikić, oltre a seguire ogni movimento di Beara durante quei tre giorni e tre notti del luglio 1995, narra la sua vita prima e durante la guerra, con elementi che collocano la storia principale nel più ampio contesto delle circostanze politiche e sociali dell’epoca. Ljubiša Beara è stato condannato in prima istanza per genocidio e altri crimini all’Aia e condannato all’ergastolo. Il giudizio finale è ancora atteso.

Hasan Hasanovic , "Surviving Srebrenica"

Surviving Srebrenica è il commovente racconto personale di un giovane musulmano bosniaco, Hasan Hasanović, e della sua famiglia durante il conflitto che ha distrutto i Balcani negli anni ‘90. La storia porta il lettore nel cuore di una semplice famiglia contadina e delle loro vite prima, durante e dopo la guerra. Un racconto coraggioso in cui il crescendo delle tragiche vicende è illuminato dalla tenacia e dall’amore per la vita di Hasan che, tornato a Srebrenica dopo il forzato esilio, è diventato il “narratore” della tragedia sua e del suo popolo.
Surviving Srebrenica è una lettura obbligata per chiunque sia interessato a capire come sia potuto sviluppare di nuovo un genocidio sul suolo europeo. Con l’auspicio che questo libro sia per le giovani generazioni un ulteriore monito a non dimenticare e ad avere il coraggio di spendersi per la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’essere umano.
«Anche quando sono lontano da Srebrenica la mia mente è lì. Penso a tutti i miei amici che sono stati uccisi solo perché avevano un nome diverso.
Ciò che segue è la mia storia, la storia di un ragazzo di paese che è sopravvissuto al Genocidio di Srebrenica.» Hasan Hasanović
Il libro ha il patrocinio di Amnesty International

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