Sono cresciuto a Tuzla, quaranta miglia da Srebrenica, e mi ricordo quel mese di luglio 1995, quando interminabili file di pullman pieni di donne e bambini sono arrivati, profughi di Srebrenica. Ma dove erano gli uomini? Tuzla era stranamente tranquilla a quella vista e poi, da quel silenzio grave, storie mostruose di uccisioni e stupri hanno iniziato ad emergere. Poco dopo la mia compagnia teatrale è stata invitata ad esibirsi al Festival di Edimburgo, e ho deciso di rimanere a vivere lì. E' stato solo l'anno scorso che ho visitato il memoriale all'interno del cimitero collettivo a Potocari, il luogo in cui, nel 1995, il battaglione ONU olandese aveva consegnato i civili locali alle forze militari serbo-bosniache. Sono stato profondamente colpito quando ho visto i cognomi ripetuti all'infinito sul monumento di marmo, un solitario testamento in questo luogo con troppe lapidi a ricordare la morte di troppi giovani. Mi sono chiesto: come fanno i sopravvissuti a far fronte ad una tale perdita? Sono stati in grado di andare avanti ed iniziare una nuova vita? Ci sono ancora storie di sopravvissuti a cui è stato impedito di tornare alla loro casa da parte dei serbi, oltre a storie di persone che hanno avuto il coraggio di tornare. Sembra che non vi sia stata alcuna effettiva riconciliazione tra i sopravvissuti al genocidio e la popolazione serba. Quando ho iniziato a fare questo film ho sentito di aver aperto ferite profonde nascoste da qualche parte dentro di me. Mentre stavo girando le interviste ed i miei personaggi raccontavano le loro storie le lacrime hanno iniziato a scendere lungo il mio viso. Come può un uomo fare questo ad un altro essere umano? Questa è una domanda che mi ha assillato ancora di più durante il montaggio delle interviste, ascoltando più e più volte quelle storie. Ogni volta era come se ferite fresche si stessero aprendo e nuove emozioni venivano fuori. I personaggi di questo film hanno anche a che fare con l'impatto del degrado sociale nella periferia di Tuzla. Lottano per la sussistenza in un Paese dove i livelli di disoccupazione sono oltre il 60%. La maggior parte di loro non ha un posto per tornare a Srebrenica. Si sforzano di costruire una nuova vita, ma sono ossessionati dalla loro esperienza passata e hanno poche speranze per il futuro a causa delle promesse mai mantenute dal governo bosniaco e dalla comunità internazionale. Oggi stiamo assistendo a conflitti, dove ancora le divisioni etniche, religiose e politiche sono state sfruttate per alimentare l’odio, mentre il mondo sta a guardare. Ci sono lezioni che possiamo imparare dal conflitto bosniaco e dalle conseguenze del genocidio di Srebrenica. I sopravvissuti di Srebrenica sono un promemoria vivido per le generazioni presenti e future - come detto da uno dei personaggi del film - “nella speranza che questo non debba mai accadere di nuovo” Samir Mehanovic
IL COMMENTO DEL REGISTA
RispondiEliminaSono cresciuto a Tuzla, quaranta miglia da Srebrenica, e mi ricordo quel mese di luglio 1995, quando interminabili file di pullman pieni di donne e bambini sono arrivati, profughi di Srebrenica. Ma dove erano gli uomini? Tuzla era stranamente tranquilla a quella vista e poi, da quel silenzio grave, storie mostruose di uccisioni e stupri hanno iniziato ad emergere.
Poco dopo la mia compagnia teatrale è stata invitata ad esibirsi al Festival di Edimburgo, e ho deciso di rimanere a vivere lì. E' stato solo l'anno scorso che ho visitato il memoriale all'interno del cimitero collettivo a Potocari, il luogo in cui, nel 1995, il battaglione ONU olandese aveva consegnato i civili locali alle forze militari serbo-bosniache. Sono stato profondamente colpito quando ho visto i cognomi ripetuti all'infinito sul monumento di marmo, un solitario testamento in questo luogo con troppe lapidi a ricordare la morte di troppi giovani.
Mi sono chiesto: come fanno i sopravvissuti a far fronte ad una tale perdita? Sono stati in grado di andare avanti ed iniziare una nuova vita? Ci sono ancora storie di sopravvissuti a cui è stato impedito di tornare alla loro casa da parte dei serbi, oltre a storie di persone che hanno avuto il coraggio di tornare. Sembra che non vi sia stata alcuna effettiva riconciliazione tra i sopravvissuti al genocidio e la popolazione serba.
Quando ho iniziato a fare questo film ho sentito di aver aperto ferite profonde nascoste da qualche parte dentro di me. Mentre stavo girando le interviste ed i miei personaggi raccontavano le loro storie le lacrime hanno iniziato a scendere lungo il mio viso. Come può un uomo fare questo ad un altro essere umano? Questa è una domanda che mi ha assillato ancora di più durante il montaggio delle interviste, ascoltando più e più volte quelle storie. Ogni volta era come se ferite fresche si stessero aprendo e nuove emozioni venivano fuori.
I personaggi di questo film hanno anche a che fare con l'impatto del degrado sociale nella periferia di Tuzla. Lottano per la sussistenza in un Paese dove i livelli di disoccupazione sono oltre il 60%. La maggior parte di loro non ha un posto per tornare a Srebrenica. Si sforzano di costruire una nuova vita, ma sono ossessionati dalla loro esperienza passata e hanno poche speranze per il futuro a causa delle promesse mai mantenute dal governo bosniaco e dalla comunità internazionale.
Oggi stiamo assistendo a conflitti, dove ancora le divisioni etniche, religiose e politiche sono state sfruttate per alimentare l’odio, mentre il mondo sta a guardare. Ci sono lezioni che possiamo imparare dal conflitto bosniaco e dalle conseguenze del genocidio di Srebrenica. I sopravvissuti di Srebrenica sono un promemoria vivido per le generazioni presenti e future - come detto da uno dei personaggi del film - “nella speranza che questo non debba mai accadere di nuovo”
Samir Mehanovic