venerdì 26 novembre 2021

Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #8

Abbiamo incontrato per l'ultima volta il Generale Jovan Divjak a Sarajevo il 25 giugno del 2019 durante il nostro annuale viaggio in Bosnia Erzegovina nella sede dell'associazione OGBiH.

Gli abbiamo chiesto se potevamo registrare la chiacchierata, qui sotto trovate il link con la registrazione integrale (con la traduzione di Andrea Rizza)

https://www.youtube.com/watch?v=NpJVf1paubs&t=1s

venerdì 19 novembre 2021

Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #7


Capitolo 27 - La pace sui banchi di scuola

D. Lei oggi dedica tutto il tuo tempo ai giovani e ha fondato l'associazione L'educa zione costruisce la Bosnia Erzegovina che si occupa degli orfani di guerra. Che tipo di attività svolge? Ha rapporti con analoghe istituzioni nella Rs?

R. Da adolescente ero stato testimone della difficile situazione degli orfani dopo la seconda guerra mondiale, e sapevo che la guerra in Bosnia sarebbe stata disastrosa per le nostre giovani generazioni. In tutto il Paese sono stati uccisi 25.000 ragazzi: 30.000 hanno perduto uno dei genitori e più di 2.000 sono diventati orfani. E per questi che ho fondato l'associazione, per fornire quel sostegno morale e materiale che permetterà loro di proseguire gli studi. In 12 anni abbiamo dato più di 24.000 borse di studio in Bosnia per un valore totale di 850.000 euro, finanziate con do nazioni o grazie a manifestazioni che organizziamo per raccogliere fondi. A questo scopo, José Van Damme si è esibito a Sarajevo, insieme all'orchestra filarmonica della città diretta dal maestro Ari Van Lysebeth. Un altro obiettivo dell'associazione è poter far partire in vacanza i nostri ragazzi, dai 14 ai 25 anni. Una delle mete più ambite è il mare croato.

Collaboriamo relativamente bene con le associazioni della RS, sebbene di tanto in tanto con alcune difficoltà. Qualche anno fa dieci piccoli serbi dovevano venire insieme a noi in Croazia. Visti e formalità burocratiche, tutto era pronto grazie agli organizzatori di entrambe le entità quando, cinque giorni prima della partenza, alcuni genitori non vollero che i loro figli partissero con i figli dei mujaheddin». Non mi scoraggio, ma quest'esempio spiega bene come sia difficile cambiare le mentalità dei genitori. Sono loro a creare problemi, mai i ragazzi. - In Republika Srpska, un'associazione con sede a Foča prepara i giovani per farli partecipare alla politica locale. Inoltre, sempre in Rs, esiste un Segretariato per la gioventù. L'idea è ottima, dato che sia su scala locale sia su quella nazionale solo il 5% dei giovani è parte attiva delle strutture amministrative. Io credo che spetti a loro decidere su problemi che li riguardano, come lo sport, l'educazione, il lavoro, e non certo a me... Spero che un'istituzione di questo tipo veda la luce anche nella Federazione, ma le autorità mi hanno detto che servirebbe far votare una legge. A me sembra che una legge non serva per creare una struttura che, invece, potrebbe farsi carico di proporne una. È la vecchia storia dell'uovo e della gallina! Allora, senza arrendersi, mi sembra il caso di andare all'attacco delle varie amministrazioni, con il sostegno di numerose ONG, per tentare di formare una struttura gestita dai giovani e per i giovani. Inoltre L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina organizza scambi con scuole francesi: i nostri ragazzi vivono con i loro coetanei francesi per 15 giorni, e così arricchiscono il loro bagaglio culturale in direzione europea e democratica. Tengo anche a che i giovani europei, ed è successo con scuole francesi e tedesche, vengano a trascorrere dei periodi qui da noi: ispirandoci alla pace ormai solida tra studenti delle due rive del Reno, anche noi possiamo sperare in nuove generazioni non più ostaggio dell'odio.

D. I bosniaci hanno oggi una bandiera, un inno nazionale e un passaporto unici. Ma le scuole e le università forniscono uno stesso insegnamento?

R. Siamo ancora lontani da questo, anche perché la decentralizzazione del nostro sistema nasconde forti divergenze. Le due Entità hanno due costituzioni e due leggi diverse sull'educazione pubblica, e in più c'è la città di Brčko, che gode di uno statuto speciale e ha norme proprie. Già questo produce tre programmi di insegnamento, o meglio quattro, perché nella Federazione la situazione degli studenti croati e bosgnacchi non è la stessa. A ciò s'aggiunga il fatto che le due entità sono divise in dieci cantoni, ognuno con proprie leggi sull'educazione. Ecco che abbiamo dieci programmi di insegnamento, più i quattro di cui sopra! Detto questo, gli orientamenti generali possono ridursi a tre, uno per comunità. Nella Republika Srpska i programmi sono simili a quelli di Belgrado, soprattutto in storia e in letteratura. Quando uno studente apre il libro di geografia, scopre che questa repubblica appartiene allo spazio geografico naturale della Jugoslavia, ora ribattezzato "Serbia". In Erzegovina occidentale, dove i croati sono in maggioranza, gli studenti imparano che la capitale della "Herceg-Bosna" è... Zagabria. Ebbene, questa regione secessionista creata durante la guerra dagli estremisti croati, che avrebbero voluto unirla alla Croazia, non ha alcuna base legale e sarebbe dovuta scomparire con gli accordi di pace. Là dove i croati o i serbi sono in maggioranza, i manuali scolastici sono ispirati a quelli in uso rispettivamente a Zagabria e a Bel grado. Invece dove a essere in maggioranza sono i bosgnacchi, i programmi sono più aperti, e anche se accordano ampio spazio alla storia e alla letteratura dell'islam bosniaco, introducono molti elementi che trattano delle comunità serba e croata. Nella Federazione, però, si contano almeno 17 città dove c'è una specie di doppio sistema, fino ai casi estremi di quelle 54 scuole - a Travnik, Mostar, Vares, etc. - in cui gli studenti croati sono separati dai bosgnacchi.

D. Però Consiglio d'Europa, Unesco, Parlamento europeo e diverse ONG sono da anni impegnate a trovare una soluzione al problema “dell’apartheid” nell'educazione. L'Alto rappresentante ha messo in piedi un coordinamento, di cui lei fa parte, per spingere le due Entità a collaborare. Dove siamo con questi tentativi?

R. A portare solo un po' più in là il masso di Sisifo... Vorrei raccontarle come si 2svolto un seminario organizzato dalla fondazione tedesca Heinrich Boll sul tema L’insegnamento per tutti. Eravamo nel 2002, a Sarajevo. C'erano i rappresentanti dei ministeri dell'Educazione di tutte le province, e studenti e genitori di entrambe le entità. Formammo otto gruppi di lavoro, mescolando i vari rappresentanti, per poi cominciare a discutere su «che cosa deve esserci in un buon programma scolastico? E qui tutti d'accordo sulla qualità da garantire, sul fatto che dovrebbe to esserci gli stessi programmi e le stesse opzioni, etc.. Un'ora dopo siamo passati alle proposte concrete, e tutti proposero che si creassero commissioni etnicamente miste. Questo per tre giorni di fila. L'ultimo giorno, in seduta plenaria e ancora mossi dallo spirito unitario, innalzavamo l'ennesimo coro su manuali e programmi comuni quando, all'improvviso, un rappresentante della RR chiese la parola. Non sono d'accordo! -disse - Tutto ciò non è conforme agli accordi di Dayton. Il nostro castello di carte crollò in un istante. Perché gli accordi di Dayton stabiliscono che sono le province a essere competenti per l'insegnamento: ed è proprio questo il nodo! La situazione è particolarmente grave per quanto riguarda la storia. Nei due ultimi decenni e soprattutto la guerra del 1992-1995 venivano affrontati in modo così fazioso che è stato deciso, nel 2003, di limitare i programmi di storia al 1974. È consentito parlare della seconda guerra mondiale, ma anche su questa i punti di vista divergono. Insomma, la sola epoca su cui tutti sono quasi d'accordo è il Medioevo!

D. Non vede una contraddizione tra gli accordi di Dayton che portano acqua al mu lino di chi vuole mantenere le divisioni, e il discorso dei Paesi occidentali che esorta a "unificare" il Paese?

R. Non necessariamente, poiché in questi accordi è chiaramente scritto che i tre popoli possono decidere di cambiare certi aspetti della Costituzione, qualora lo vogliano. E cioè essi potrebbero affidare la questione dell'insegnamento al go verno nazionale piuttosto che alle Entità e alle province. L'accordo del 1995 è abbastanza flessibile, e rappresenta solo una prima tappa verso la Bosnia futura. Niente è scolpito nella roccia, e la comunità internazionale invita i nostri politici ad andare avanti.

Nel giugno 2003 è stata approvata una legge-quadro sull'insegnamento nelle scuole primarie e secondarie, che prevede l'adozione di programmi unici, facilita la mobilità degli studenti e il riconoscimento dei diplomi. Ci vorrà del tempo per applicarla sull'intero territorio, innanzitutto perché tutte le province dovranno votare delle leggi attuative, e poi perché le tre comunità temono d'essere relegate al rango di minoranza. Però le pressioni internazionali cominciano a dare i loro frutti. Quattro anni fa avevo visitato una scuola elementare a Bugojno dove non solo gli studenti croati e bosgnacchi seguivano un insegnamento separato, ma nemmeno si incontravano mai, né a ricreazione né in mensa. La situazione sta gradualmente migliorando, anche grazie alla legge di cui ho parlato. In questa città, teatro d'aspri combattimenti tra croati e bosgnacchi, il Consiglio multietnico dei genitori degli studenti è molto attivo e le famiglie lavorano insieme per il progetto di ricostruzione della biblioteca municipale. Permangono però tensioni, alimentate dai nazionalisti delle due parti. Per l'inizio delle lezioni del 2004, tutte le famiglie degli studenti croati del villaggio di Novi Seher rifiutarono di mandare a scuola i propri figli per due mesi. Presso i croati, la paura di perdere lingua e identità è ancora assai forte.

Vorrei tornare sull'insegnamento della storia, che riveste un'enorme importanza nella formazione delle generazioni future. Occorrerà far sedere a uno stesso tavolo, un giorno, gli storici di tutta la ex Jugoslavia. In Bosnia sono state scritte migliaia di pagine sull'ultima guerra, per denunciare l'aggressione di cui è stato vittima il Paese. Gli storici croati parlano, invece, della loro "grande guerra patriottica, senza mai menzionare le responsabilità della Croazia in tutto questo caos. I serbi parlano di una guerra civile». Non saranno specialisti venuti da fuori ad aiutarci spetta invece ai nostri storici il compito di confrontarsi per provare a stabilire la verità. È questo spirito che dovrebbe prevalere commissione Verità e Riconciliazione che è stata formata in Bosnia con lo scopo di promuovere la pace facendo chiarezza sui crimini commessi. Però una tale commissione dovrebbe esistere in tutta la ex Jugoslavia: in mancanza di questo, non potremo mai giungere a una vera riconciliazione. Slovenia, Croazia, Bosnia e Kosovo: tutte queste guerre sono legate da un unico filo. La sete di giustizia e la ricerca di una durevole pace dovrebbero essere un obiettivo comune. Ma a tutt'oggi ognuno non vede che il suo popolo e vive ripiegato su se stesso.

D. I giovani con i quali quotidianamente lavora, come immaginano il proprio avveni re? Sperano che il Paese possa entrare nell'Unione europea?

R. Benché l'adesione all'Ue non sia dietro l'angolo e così non riescano a percepire questo orizzonte, i giovani sono coscienti che una solida preparazione e un eleva to livello di conoscenze apriranno loro le porte dell'Europa e del mondo. Sono a favore delle riforme: vogliono imparare, andare avanti, e di questo discutiamo spesso. Conoscevo un giovane che, prima della guerra, studiava presso l'Università di Banja Luka, in RS. Andato all'estero durante il conflitto, è rientrato in Bosnia ma nella Federazione perché, come molti altri profughi, non è riuscito a tornare da dove era fuggito. Desidera continuare gli studi a Sarajevo dove però, purtroppo, l'università non riconosce né il suo diploma di maturità né i suoi due anni post diploma. Tra le due Entità non c'è ancora alcuna equivalenza a livello di titoli di studio. In queste condizioni, come potranno "entrare in Europa" i nostri giovani? Lo stesso per gli insegnanti, il cui processo di formazione è diverso nelle due Entità, ma anche da città a città, a volte. Eccellono dei professori "locali" che però, fuori dalla loro città o dalla loro scuola, non valgono un bel nulla. Inoltre, nella scuola secondaria, l'8% dei docenti non ha alcuna qualifica, percentuale che sale al 17% nella primaria. Mancano moltissimi insegnanti di lingue straniere, di inglese e te desco in particolare. I migliori tra gli anglisti o sono andati all'estero o hanno pre ferito un mestiere meglio remunerato nelle organizzazioni internazionali. Quanto al francese, è quasi scomparso. In crescita è invece l'italiano. Nelle mie visite in università straniere sono stato favorevolmente colpito dalla vivacità che regna tra gli studenti nei corridoi e nei caffè, mentre fanno ricerche comuni su internet, curiosi di tutto, e discutono alla pari con gli insegnanti... E questa Europa della conoscenza e della moltiplicazione dei saperi che manca ai nostri ragazzi. Abbiamo molta strada da fare perché i nostri metodi di insegnamento sono un po' vecchiotti e spingono a ingoiare nozioni, piuttosto che a riflettere in modo creativo e collegando le varie discipline. Gli insegnanti da noi recitano stancamente il copione dei loro manuali, e gli studenti prendono appunti sotto dettatura.

Al tempo stesso, però, i giovani bosniaci delle due Entità partecipano a concorsi internazionali, a competizioni come le olimpiadi della matematica e della fisica, a concorsi musicali. E spesso risultano tra i primi. Nelle generazioni di questo dopoguerra vi sono giovani di grande talento e, se riuscissimo a migliorare la qualità dell'insegnamento, otterremmo risultati ancora più interessanti. Pensandoci bene, l'Irlanda solo trent'anni fa ha lanciato un grande progetto per la formazione e i suoi giovani, oggi, hanno un elevato livello di istruzione.

Inoltre, il nostro Paese è alle prese col problema della fuga dei cervelli. Il programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) ha condotto una ricerca su questo tema nel 2000 e nel 2003, a cui ho collaborato. Sui mille giovani delle due Entità che hanno risposto ai questionari, il 62% ha dichiarato di voler partire all'estero perché la Bosnia non offre prospettive per il futuro. Solo il 15% dei giovani che vive all'estero, invece, ha detto di essere disposto a tornare definitivamente in Bosnia, a condizione di avere un lavoro e un alloggio. Questi dati mi vengono confermati ogni volta che, in Svezia o negli Stati Uniti, incontro giovani del nostro Paese. La maggior parte di loro è interessata a visitare la Bosnia da turisti, ma non certo a tornarci per sempre. Non riescono a immaginarsi un futuro, nel loro Paese d'origine. Il settimanale Slobodna Bosna ha pubblicato tre ritratti di giovani tutti con ottime referenze di studio e lauree prese all'estero-un dottorato il primo, poliglotta il secondo e ingegnere il terzo. Giovani brillanti, ma che non trovano lavoro. E per ultimo, gli organismi internazionali e le ONG, molto presenti alla fine della guerra, hanno soppresso un buon numero di impieghi. Questa cosa è stata vissuta, qui da noi, con molta delusione. I giovani speravano di ricevere una formazione per poi poter continuare il lavoro. Certo, esistono associazioni locali, ma non creano lavoro perché non ne hanno i mezzi. Alcune rischiano di chiudere per mancanza di sovvenzioni, e il nostro governo non riesce ad aiutarle.

D. Gli orfani di guerra che la sua associazione ha aiutato saranno presto adulti. Quali progetti avete per il futuro?

R. Speravo che i giovani che hanno beneficiato del nostro aiuto prendessero il nostro posto e facessero vivere la nostra associazione, con idee nuove. Per il momento, però, non vedo nessuna iniziativa in questo senso. Abbiamo però ugualmente cominciato ad allargare il nostro raggio d'azione alla scuola e all'insegnamento in senso lato. Dal 2003, ad esempio, abbiamo messo in piedi degli atelier psico-creativi. Vi partecipano i bambini e i genitori, guidati da animatori e psicologi. Da noi, i ragazzi vanno a scuola mattino e pomeriggio, ma non esiste alcuna struttura che si occupi di loro fuori dall'ambiente scolastico: sono abbandonati a se stessi. I geni tori non hanno tempo oppure non riescono a farli partecipare a iniziative dove si prevista una quota d'iscrizione. Così abbiamo pensato di organizzare dei laboratori di ceramica e di scultura, di cui approfittiamo per aprire dibattiti tra i ragazzi, le famiglie e gli animatori. Un laboratorio, con gruppi che variano dalle 12 alle 20 persone, è stato dedicato alla psicologia, e ha ottenuto molto successo tra i genitori. C'è bisogno di forum di questo tipo. Spero, dopo averne organizzati a Sarajevo, di portare l'esperienza anche in altre località.

D. A proposito di iniziative per i giovani, cosa mi dice della scuola di musica aperta a Mostar?

R. Il centro venne fondato per iniziativa di Luciano Pavarotti. Oltre a una scuola di musica, vi sono atelier di pittura dove si svolgono incontri letterari. Si trova nella parte musulmana della città. In teoria è aperto a tutti, ma è poco frequentato dai giovani croati che hanno un loro centro culturale sull'altra riva delle Neretva Tutto è ancora difficile a Mostar. La città ha due reti d'elettricità, due compagnie telefoniche, due università... I giovani bosgnacchi e croati crescono da una parte e dall'altra di quella che era la linea del fronte, vicino a cui si trova un edificio significativo: il vecchio Liceo, la cui bella facciata ocra di stile neomoresco ricorda la Biblioteca nazionale di Sarajevo. Prima della guerra, era il Liceo di tutta la città. Oggi, con le tracce delle granate ancora ben visibili, è vuoto, e nessuno pensa di ristrutturarlo, anche se sarebbe positivo per tutte le comunità.

D. Dalla sua fondazione, l'associazione "L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina" ha lavorato a stretto contatto con varie organizzazioni umanitarie. Come giudica l'azione di queste ultime?

R. Non riuscirei a dare un giudizio generale sulla loro efficacia, ma posso dirle del lo straordinario appoggio ricevuto dalla nostra organizzazione. Ci hanno aiutato non solo Médecins du monde e la Croce Rossa tedesca, ma una miriade di piccole associazioni e di individui coraggiosi e pieni di energia, come il Forum per la demo crazia nei Balcani e Prométhée Bosnie. Ad Albertville un gruppo di atleti che aveva partecipato alle Olimpiadi del 1992 fondò Perché Sarajevo viva. In piena guerra l'associazione si recò a Mostar, Vitez, Sarajevo, Goražde, con materiale medico e vi dopo la fine della guerra, con materiale scolastico, attrezzature sportive, etc. Il suo dirigente, Henri-Georges Brun, è stato nominato umanista dell'anno dalla veri e, Lega internazionale degli umanisti. Jean-Claude Carreau, padre di uno dei caschi blu morto in Bosnia, si dedica agli orfani. Ci aiuta a finanziare gli studi dei nostri borsisti e ha aperto un centro di vacanze per giovani, La Terra dell'amicizia e della Pace, vicino Sarajevo, di cui è diventato cittadino onorario nel 1999. Se godiamo di tanta simpatia, è essenzialmente grazie all'Associazione Sarajevo, messa in piedi da Faik Dizdarević, che ci ha fatto conoscere in diverse città francesi. È straordinario il fatto che, mentre i governi di tutta l'Europa chiudevano gli occhi davanti al genocidio e alla distruzione, tanti cittadini si siano mobilitati per noi. In Spagna gli Insegnanti per la Bosnia e la polizia di Barcellona; in Italia l'Associazione Sprofondo, egli Studenti del mondo in Belgio. Inoltre La Viva, un coro assai particolare perché canta solo sul tema dei diritti dell'uomo, è divenuto membro della nostra associa zione e fa concerti tra la Bosnia e la Francia, aiutandoci a trovare nuovi sponsor per le nostre attività.

D. Secondo lei, quali sono stati i momenti più significativi di questi anni passati vicino ai ragazzi?

R. Il ricordo più forte è quello d'un viaggio fatto con i nostri ragazzi ad Auschwitz. L'iniziativa è stata presa da un avvocato italiano, Bortolo Brogliato, che l'aveva concepita per studenti di sei diversi Paesi. In totale eravamo 200. Siamo andati a piedi da Auschwitz a Birkenau, e ognuno aveva in mano una fiaccola accesa. La marcia si è svolta in un silenzio che potrei definire religioso. Nel cammino, le immagini delle migliaia di deportati che avevano fatto lo stesso nostro percorso scorrevano dentro di me: furono momenti intensi, perché il fatto di ripercorrere questa strada faceva vibrare qualcosa nel più profondo dell'anima. Poi, dopo aver lasciato le nostre fiaccole a Birkenau, siamo tornati ad Auschwitz. Avevo visto molti film e documentari, naturalmente, ma fu uno choc entrare nelle baracche, vedere quelle borse a migliaia, quei capelli... In nessun altro luogo ho vissuto un'esperienza simile. Credo che i ragazzi bosniaci più degli altri abbiano capito quale fosse il significato di tutto questo. E si commossero fino alle lacrime. Il nostro viaggio terminò ad Assisi e a Vicenza, per visitare altri luoghi della memoria dove erano stati perseguitati gli antifascisti italiani. La staffetta della pace-questo è il nome dell'iniziativa - si svolge ormai ogni anno.



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Si può dare il proprio contributo per ricordare Jovan Divjak sostenendo l'associazione "L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina":
- tramite paypal su account buongiorno.bosnia@gmail.com
- tramite bonifico bancario sul conto corrente (Poste) intestato all’associazione Buongiorno Bosnia, IBAN: IT07Y0760102000001015785288

Indicando il proprio indirizzo mail al momento della donazione si riceveranno 4 vignette inedite con le barzellette di Suljo e Mujo che Jovan Divjak amava raccontare alla fine di ogni incontro con lui.


 




venerdì 12 novembre 2021

Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #6

 

Amra e Edis sono due tra i tanti giovani studenti aiutati dall’Associazione “L’educazione costruisce la Bosnia Erzegivina”, l'associazione voluta da Jovan Divjak per dare un futuro al paese e che abbiamo deciso di sostenere proprio per ricordare il generale scomparso 6 mesi fa.
Di seguito trovate le loro storie (grazie a Mariangela Pizziolo e Leonardo per la traduzione).

EDIS SALI
https://ogbh.com.ba/druga-strana-romskih-prica-edis-sali/

Uno dei migliori studenti a cui l'Associazione ha offerto le borse di studio è Edis Sali. Ha mantenuto una media dei voti alta durante il suo percorso scolastico, e ora frequenta le superiori con ancora maggiore passione. Edis dice che, anche se non sempre il percorso è stato facile, ne è valsa la pena ed è orgoglioso dei suoi successi.
«Fin da quando ero bambino, sogno di diventare parrucchiere: è quello che voglio fare e spero di riuscirci. Vivo a Zenica e frequento il Liceo professionale Mladost.
Il mio percorso di studi è stato diverso da quello dei miei coetanei. Anche se non avevamo i soldi per permettermi un’istruzione, io mi sono impegnato più che potevo. La mia famiglia stava vivendo un momento di crisi molto difficile, ma ho comunque ottenuto ottimi risultati dalla prima alla nona elementare».

Edis dice che i bambini rom sono molto spesso separati dagli altri e che, nelle scuole, esiste una forma di discriminazione. Fortunatamente lui non ha avuto questi problemi, è stato accolto dai suoi coetanei e non si è mai sentito rifiutato. In effetti sono davvero poche le differenze tra i costumi della sua famiglia e quelli dell’ambiente esterno.
«Amo i miei e rispetto gli altri. La mia famiglia è molto importante per me ed è il mio sostegno in tutto. Amo tantissimo i giorni festivi, quando siamo insieme siamo i più felici!».

Edis adora la sua città e gli piacerebbe costruire proprio lì il suo futuro. Se riuscisse ad assicurarsi un reddito stabile, rimarrebbe in Bosnia-Erzegovina. Allo stesso tempo, se gli verrà offerta una migliore opportunità all'estero, non se la farà sfuggire.
«La parte della città che preferisco è Blatuša, la zona in cui ho trascorso la mia infanzia. Mi piacerebbe aprire la mia bottega di parrucchiere qui, da qualche parte. Voglio lavorare onestamente e guadagnare abbastanza per me e per la mia famiglia. Il desiderio di riuscirci mi rende molto più motivato a lavorare e studiare. Non ho avuto molto nella mia vita e ho dovuto fare molte rinunce, vorrei che il lavoro mi desse la possibilità di permettermi tutto ciò che mi serve e di esaudire i miei desideri».

I consigli di Edis
«Vorrei dire a ogni i membro della minoranza rom di impegnarsi il più possibile per raggiungere i propri desideri e obiettivi. Con impegno e molta fiducia in se stessi, è possibile realizzare ogni sogno».

AMRA TAHIROVIĆ
https://ogbh.com.ba/druga-strana-romskih-prica-amra-tahirovic/

Nel periodo più delicato della vita, quello adolescenziale, le ambizioni e i desideri cambiano quasi ogni giorno, ma questo non è il caso della nostra “stipendista” Amra Tahirović. Da lungo tempo il suo sogno è il camice bianco, nel quale vede le più belle ed eroiche qualità che una persona possa avere. Una di queste è l’umanità, che Amra mette al primo posto tra tutte le qualità umane.
“Vado alla Scuola superiore di Medicina a Zenica. Mi sono iscritta qui prima di tutto perché, tra tutte, è la professione più umana. Attraverso questa formazione e questo lavoro ogni persona raggiunge un più alto livello di sentimento e umanità. Sin da piccola mi sono immaginata come dottoressa ed eroina per qualcuno al quale salverò la vita e darò una nuova opportunità per nuovi traguardi”.

Amra ha avuto una bella infanzia, giorni pieni di risate, giochi e divertimento con i compagni alle scuole elementari. Le persone della sua cerchia erano buone, gentili e accettavano di buon grado altre nazionalità. Le nuove tecnologie spesso sono uno strumento per esprimere crudeltà e Amra mette in guardia sulla violenza tra giovani coetanei attraverso l’uso dei social network.
“Durante il periodo scolastico ho vissuto solo situazioni positive. Ho imparato molto e l’ambiente circostante mi è stato di aiuto. Più precisamente, ho avuto la fortuna di frequentare la Scuola elementare e media “Miroslav Krleža”, dove ho avuto insegnanti che mi hanno dato un’istruzione di qualità, hanno allargato la mia conoscenza, la mia cultura generale ed il mio sentimento di appartenenza. Qui ho veramente compreso cosa significhi appartenere ad una comunità, impegnarsi e dare il meglio di sé per essa. Per la mia esperienza, posso dire di non aver mai subito discriminazioni in alcun campo della mia vita. Quello che ho osservato da altri casi sono la violenza tra coetanei ed il mobbing su internet e vorrei che la nostra legge prevedesse pene più severe e che ci fosse una maggiore attenzione dei media a questo problema, in modo che la nuova generazione potesse vivere in un ambiente più sano”.

Amra rimarrà in Bosnia-Erzegovina dopo la fine degli studi. E’ legata al suo Paese e alla sua città e l’amore verso la sua professione la motiva a voler vedere un giorno il titolo di dottoressa davanti al suo nome. Per raggiungere questo obiettivo la aiuteranno le persone a lei più vicine dandole sostegno.
“Sono figlia di questa terra. Ogni cultura che appartiene alla Bosnia-Erzegovina è anche mia. Rispetto tutte le differenze e sono orgogliosa di vivere in questa varietà di culture, nazionalità e religioni e dell’eredità dei nostri antenati. Questa è una terra di convivenza, di accettazione dell’altro e di ciò che è diverso. Sono nata in una famiglia sana che mi dona amore e sostegno incondizionati. Qui ho tutto ciò che amo. Vorrei rimanere e lavorare nel mio Paese, contribuire con la mia presenza e con la mia conoscenza nella misura in cui mi è possibile. Lo ritengo una mia responsabilità nei confronti della comunità. Amo il mio Paese e mi sento un’umanista nell’anima. Con il mio esempio desidero dimostrare alle nuove generazioni cosa significhi essere una grande persona, un patriota ed un umanista – esattamente come ha fatto il nostro generale Jovan Divjak in tutta la sua vita”.

Ogni giorno per Amra è una nuova occasione per imparare. Parla fluentemente l’Inglese, il Tedesco a livello di base e desidera imparare il Francese. Dice di essere felice e forte e che la volontà non le manca.
“Per me giocano un ruolo fondamentale l’ambizione ed il desiderio di avere successo, non solo nel campo professionale, ma anche per il raggiungimento di altri sogni. Desidero impegnarmi nel campo della ricerca, ricercare medicine per malattie incurabili. Questo sogni mi dà la motivazione ogni giorno!”

Amra è cresciuta in una famiglia piena d’amore e nello stesso modo si comporta verso tutti: con rispetto, il sorriso e offrendo la mano.
“Dall’esempio dei miei genitori ho imparato che la nazionalità e la religione non influenzano il futuro. Lo sforzo, l’impegno, la beneficienza, il rispetto per sé e per gli altri sono la base della persona buona. Ogni persona è ciò che porta dentro di sé e nella misura in cui s’impegna altrettanto riceve dalla vita e dalle altre persone. In genere, ognuno dà valore all’umanità e allo spirito di sacrificio. Dobbiamo dare amore per poterlo ricevere, mostrare rispetto per riceverlo. Dobbiamo avere in sé morale ed etica e quando ti armi di questo allora puoi abbattere i pregiudizi”.

Il consiglio di Amra
“Suggerirei ai giovani di ampliare i loro punti di vista, di istruirsi, di avvertire la loro responsabilità verso la società; di essere in primo luogo buone persone e di dare tutto di sé nelle loro professioni per permettere al nostro Paese di progredire. Solo attraverso esempi positivi possiamo motivare i giovani. Dobbiamo essere ambasciatori delle nostre scelte e del nostro Paese. Presentiamo noi stessi ed il nostro Paese nella luce più bella!”
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Per dare il proprio contributo:
- tramite paypal su account buongiorno.bosnia@gmail.com
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Indicando il proprio indirizzo mail al momento della donazione si riceveranno 4 vignette inedite con le barzellette di Suljo e Mujo che Jovan Divjak amava raccontare alla fine di ogni incontro con lui.




venerdì 5 novembre 2021

Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #5

"L’umorismo bosniaco" di Laura Mafizzoli

Nei suoi “Racconti di Bosnia”, già negli anni Quaranta del Novecento, il grande scrittore Ivo Andrić descriveva l’umorismo bosniaco come “un’eccezionale capacità di sopravvivere, di subire, di soffrire con dignità e di restare solidi come querce nella costante bufera”. È difficile immaginare una descrizione migliore. Ci sono ancora pochi studi sull’umorismo bosniaco, eppure in tutti gli scritti esistenti emergono i tentativi, da parte degli autori, di coglierne l’essenza e di cercare di dare un senso a questa sua peculiare forza e centralità nella vita delle persone in Bosnia. L’umorismo è generalmente diffuso in tutta l’area dei Balcani e scherzare fa proprio parte della quotidianità balcanica. Eppure, quando si tratta di voler sentire dei veri e propri scherzi o barzellette (in bosniaco-serbo-croato-montenegrino “vicevi”), tutti si riferiscono all’umorismo bosniaco come quello più divertente e singolare. Le barzellette in Bosnia hanno due personaggi principali, Mujo (Muhammed) e Sujo (Sulejman), a cui si aggiungono spesso altri due personaggi Haso (Hasan) e Fata (Fatima), che si addentrano nelle vicende dell’ordinario ed esplorano i disagi della vita umana con uno stupore e un’ingenuità tali da lasciare colui che ascolta inerme davanti a tale furba schiettezza. Le vicende in cui Mujo, Sujo, Haso e Fata si districano sono parabole della quotidianità di chi le racconta ed è ciò che rende queste barzellette così significative. La capacità di scherzare su sé stessi, di mettersi in gioco, di fare battute taglienti e talvolta risultare naïves per l’apparente semplicità delle narrazioni sono così forti in Bosnia che questo tipo di umorismo trascende le barzellette stesse e si nota anche nell’atteggiamento delle persone e nel modo in cui esse affrontano le faccende e le relazioni quotidiane, senza necessariamente verbalizzarle. È anche per questo motivo che Mujo, Sujo, Haso e Fata sono così cari in Bosnia: le persone vi si identificano molto e, anzi, ne sono impersonificate. Alcune delle situazioni in cui questi quattro personaggi navigano sono infatti vicende realmente accadute raccontate da chi le ha vissute usando i personaggi come proiezione di sé stessi. Quando intervistai Jovan Divjak per la mia ricerca etnografica sull’umorismo bosniaco nel lontano 2012, mi ricordo che mi disse “Aspetti un attimo” e andò nel suo ufficio a prendere quello che poi scoprii essere alcuni post-it gialli su cui aveva scritto almeno 30 barzellette. Le scorreva con lo sguardo divertito e ogni tanto diceva “ova je dobar!” (questa è buona!) e me la raccontava, ridacchiando prima, dopo e durante. In quel pomeriggio autunnale mi raccontò di come l’umorismo bosniaco fosse uno spirito (duh), un animo nero grazie al quale le persone danno senso a ciò che le circonda e, proprio scherzandoci sopra, se ne (ri)appropriano e non ne vengono sopraffatte. Ed è in questa (ri)appropriazione dell’incontrollabile che la peculiarità dell’umorismo bosniaco emerge. Le barzellette della guerra degli anni Novanta cristallizzano questo aspetto in maniera disarmante. Gli abitanti di Sarajevo mi dicevano che non sono esistite mai così tante barzellette come durante gli anni della guerra in Bosnia. Mujo, Sujo, Haso e Fata si ritrovarono a correre per le strade di Sarajevo a cercare acqua, legna e cibo cercando di sfuggire ai colpi dei cecchini e navigando nel mare di corruzione che caratterizzava la maggior parte degli aiuti umanitari e con sarcasmo commentavano l’impensabile, non comprendendolo ma almeno controllandolo. Le battute che emergono da queste barzellette incarnano proprio ciò che Ivo Andrić descriveva cinquant’anni prima della guerra: una capacità di restare solidi come querce nella costante bufera.
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Si può dare il proprio contributo per ricordare Jovan Divjak sostenendo l'associazione "L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina":
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Indicando il proprio indirizzo mail al momento della donazione si riceveranno 4 vignette inedite con le barzellette di Suljo e Mujo che Jovan Divjak amava raccontare alla fine di ogni incontro con lui.



nell'immagine Mujo e Suljo in una delle vignette ricompensa, di Mariangela)